martedì 29 marzo 2016

Le belle case e i bei palazzi di Milano


Casa Campanini (1906) in via Bellini.
Quante belle case e quanti bei palazzi ci sono a Milano? Difficile dirlo, oltretutto è anche una questione di gusti.


Camminando per la città ne sbucano a decine, che viene voglia di fotografarli. Ed è proprio quello che abbiamo deciso di fare, ogni volta che ne incrociamo uno (a volte anche due).




Buona visione!





I grattacieli (1923) di Piazza Piemonte

L'elegante palazzo di piazza Cardinal Ferrari


Casa Ponti (1957) in via Dezza

Palazzo Veronesi, piazza Duse


Palazzo in via Larga, angolo via Schuster

Palazzo di viale Majno

Palazzo Meroni (1914), piazza Missori


Palazzo Art Déco (Anni 20 del 1900) in piazza Piemonte

Casa Bettoni (1865), corso di Porta Romana

Palazzo di via Crivelli

Palazzina in via Vignola

Castello Cova, via Carducci angolo via san Vittore


Altra palazzina in via Vignola

Casa Rasini (1934, Giò Ponti), Corso Venezia

Palazzo ex Trianon (facciata 1902), piazza del Liberty


Casa Sartorio (1909), il "ferro da stiro" di via Piacenza

Palazzo di via Cosimo del Fante angolo via Vettabbia

Casa-castello di via Bellezza (ang. via Pezzi)


Casa Felisari (1910), via Settembrini ang. via Boscovich



venerdì 26 febbraio 2016

Ricordi sparsi di una Milano passata

La ringhiera (foto Fiammetta)
La storia, il passato, sono fatti di grandi episodi, di avvenimenti di cui si parla sempre e che ormai quasi tutti conoscono.

Ma anche di situazioni vissute dalle singole persone, da semplici ricordi, da piccole questioni di vicinato, da immagini che sono rimaste impresse chissà perché nella mente.

Abbiamo raccolto alcuni racconti della signora Maria, una nostra simpatica e arzilla vicina di casa, e li riportiamo così come sono, senza la pretesa di farne racconti letterari.

Sono semplici flash, a volte personali a volte più di carattere "generale" che, messi uno accanto all'altro, possono forse aiutare a raccontare la nostra città, Milano, da un altro punto di vista, quello di chi ci ha abitato con naturalezza e senza sensazionalismi.

 

L'incidente in corso Lodi

Io ero cassiera di una macelleria e dopo la guerra ci siamo spostati in centro, in via Pontevetro, dove ho lavorato per 25 anni, fino a quando sono andata in pensione. Il papà dell'assicuratore del nostro principale è andato una mattina in banca ed era la Banca di piazza Fontana ed è morto. Il padre del mio principale doveva andare anche lui, dovevano incontrarsi, ma dopo non so che cosa è successo e ha deciso di andarci nel pomeriggio. Se andava la mattina restava dentro anche lui.

Quel momento lì, un mese prima, al 17 di novembre mia mamma era stata portata all'ospedale Policlinico perché aveva avuto un incidente, era stata investita in corso Lodi e ha fatto quattro mesi immobile all'ospedale con rotto femore, bacino, un braccio. Lì c'erano i pullman che passavano per andare a Melegnano e lei e mio padre ne hanno superato uno che era parcheggiato per attraversare la strada: è venuto uno con la macchina da Porta Romana a piena velocità, che poi stava scappando, l'ha fermato uno che quasi viene investito anche lui. I miei genitori hanno preso la multa perché non erano sulle strisce, mi ricordo che mio padre ha pagato subito la sua: 500 lire. Quella di mia madre pensavano fosse stata eliminata perché era stata ferita, invece è arrivata qualche mese dopo a casa: 800 lire, eravamo disperati!

Pensi che quello che li ha investiti ha scritto una lettera a mia madre accusandola di avergli rovinato la macchina e di avergli fatto venire un infarto... Allora io sono andata da una delle tre sorelle che abitavano di fianco a noi, che una di loro aveva il fidanzato che lavorava nelle assicurazioni. Avevamo confidenza con loro, mia madre le svegliava alla mattina picchiando sul muro perché una di loro si doveva svegliare sempre presto, alle 6. Poi loro ripicchiavano per dire che si erano svegliate. Avevano la macchina da cucire e mia madre che cuciva a mano – perché noi la macchina non ce l'avevamo – andava a casa loro a cucire, le avevano dato la chiave perché potesse farlo anche quando non c'erano.

Un giorno racconto alle tre sorelle che cosa era successo e della lettera ricevuta dalla mia mamma. Lì c'era il fidanzato di quella più giovane, l'assicuratore, che disse «Adesso ci penso io!». Ha preso il numero di telefono dell'investitore, gli ha telefonato e gli ha detto di tutto: «Come fa una donna di 60 anni che peserà 40 chili a rovinare una macchina? È lei che andava troppo veloce! È lei che ha rovinato la persona, non il contrario! Se andava piano l'infarto non le veniva!».

Insomma mia madre ha fatto 4 mesi di ospedale. Tra l'altro, guarda la sfortuna: sciopero dei medici, sciopero degli infermieri, sciopero degli anestesisti... insomma, i primi dodici giorni ha dovuto stare lì senza che le facessero niente.

I camion dei soldati

In quegli anni si faceva sempre sciopero. Mi ricordo che quando lavoravo c'erano a volte due giorni di sciopero dei mezzi. Facevo quattro volte la strada, tutto a piedi. Poi c'era un periodo che mettevano i camion dei soldati al posto dei mezzi, ma c'era un traffico... bisognava salire con una scaletta, per fortuna che ero giovane, oggi farei fatica a salire.

Qui dove c'era la nostra casa...

A volte mi vengono in mente le cose che mi raccontava mio padre, quando ero piccola e anche dopo. Qui dove c'è la nostra casa e dove c'è la chiesa, ad esempio, c'era un cimitero, una volta. Io a un certo punto lavoravo nella macelleria lì all'angolo e quando avevano fatto dei lavori avevano trovato un femore. Allora avevano bloccato tutti i lavori per una decina di giorni.
Nella via Giulio Romano c'era uno stabilimento che si chiamava Comi, che prendeva tutta via San Rocco, poi via Agnesi, Giulio Romano, fino a qui. C'era anche un fosso dove passava l'acqua che veniva dalla parte di viale Sabotino. Lì in fondo a via Altaguardia dove c'è adesso un tabaccaio c'era la fermata della circonvallazione e c'era un casetta bassa e sotto passava un fosso. C'era anche la pesa pubblica.

I cavalli vecchi e feriti di San Siro

Mi ricordo che dalla Giulio Romano passavano i cavalli che venivano da San Siro che erano feriti o vecchi che li portavano al macello, passavano da Giulio Romano e le donne raccoglievano i loro escrementi con il secchio per concimare  i fiori.

La fabbrica rossa di via Altaguardia, che oggi hanno abbattuto per costruire un nuovo palazzo, c'è sempre stata. C'erano anche negozi, al piano terra. Più avanti, nella via, c'era il deposito degli spazzini del Comune e c'erano le case popolari. Adesso han costruito un nuovo palazzo ma al piano terra hanno tenuto tutte quelle porticine, che una volta erano le porte che andavano su al primo piano.

La nostra casa ha 110 anni, era tutta di uno stesso proprietario. Le scuole di Giulio Romano sono sempre state così. Io ho fatto le elementari lì in prima (sono nata nel 1935).

La ringhiera

Quando eravamo giovani la ringhiera era molto vissuta. Le donne e le ragazze si appoggiavano alla ringhiera, con le spalle verso il cortile interno e si faceva la maglia, chi cuciva. Noi bambine sotto la finestra giocavamo alle bambole o altro, anche il maschio figlio della camiciaia giocava con noi, tutti assieme. Con il gesso disegnavamo il mondo oppure la casetta, la camera. Con la merenda che ci davano i genitori, ci siedevamo nella "cucina": «Oggi cosa mangiamo?» «Io oggi non c'ho voglia» «Io mangio il cioccolato» e allora si faceva un pezzettino per ciascuno e si giocava per esempio alla bottega, si vendeva e si faceva finta di andare a fare la spesa «Mi dà una michetta?».


giovedì 21 gennaio 2016

Primarie sindaco di Milano,
il piano segreto del centrodestra

Chi sarà il prossimo sindaco di Milano?
Siamo incredibilmente entrati in possesso del piano segreto (anzi segretissimo) del centrodestra per vincere le elezioni del nuovo sindaco di Milano.

È successo in maniera del tutto casuale. Eravamo al bancone del nostro solito bar del centro, stavamo sorseggiando il primo caffè del mattino. Avevamo appoggiato la nostra borsa di lavoro per terra, accanto a noi. Il distinto signore che beveva il cappuccino di fianco a noi ha preso per sbaglio la nostra borsa e ha lasciato la sua.

Ce ne siamo accorti solo in ufficio. L'abbiamo aperta per cercare qualche segno che ci indicasse l'identità del proprietario, quando ci siamo trovati tra le mani un documento che ci ha letteralmente fatto fare un salto sulla sedia. L'intestazione del documento era:

"PIANO SEGRETISSIMO DEL CENTRODESTRA PER VINCERE LE ELEZIONI DI SINDACO DI MILANO"

Potevamo forse non dare una sbirciatina...!?!

 

 

Un piano molto ingegnoso, in 6 punti

Il piano è espresso per punti, cercherò di riportarli fedelmente, per quanto mi ricordo (la borsa con relativo documento è nel frattempo già stata restituita al legittimo proprietario, di cui non farò il nome, per non metterlo nei guai).

PIANO SEGRETISSIMO DEL CENTRODESTRA PER VINCERE
LE ELEZIONI DI SINDACO DI MILANO
Partendo dal presupposto che il candidato ce l'abbiamo già (vedi punto 6), ma che al momento, per ovvi motivi, non possiamo presentarlo, questo è il piano segretissimo per vincere le elezioni che porteranno al nuovo sindaco di Milano:

1. Fingere disinteresse: è ancora troppo presto
È la fase iniziale di attuazione del piano, quella in cui è richiesto di studiare gli avversari del centrosinistra. Fino a ottobre 2015 meglio non fare nomi e aspettare che i rivali si esprimano per primi.

2. Buttare nella mischia qualche nome, per confondere le idee
Seconda fase, da attuarsi a partire da novembre 2015: ai primi nomi del centrosinistra rispondere con alcuni nomi che abbiano il solo fine di depistare gli avversari. Scegliere personaggi possibilmente improponibili, che facciano parlare di sé anche negli eventi mondani – come ad esempio la Prima della Scala – magari facendosi accompagnare da personaggi vestiti in modo eccentrico o addirittura ridicolo.

3 Seguire con attenzione la campagna elettorale degli avversari
Da inizio 2016, presenziare attivamente agli incontri di campagna elettorale degli avversari del centrosinistra, in modo che questi si illudano di destare grande interesse nei cittadini e di riuscire a muovere, quando sarà il momento, un grande numero di elettori. Una presenza numerosa che giustificherà anche quanto riportato nel punto 4 del seguente piano.
4. Partecipare con il proprio voto alle primarie del centrosinistra in programma il 6 e 7 febbraio
Il 6 e 7 febbraio, i sostenitori del centrodestra sono invitati a mischiarsi a quelli del centrosinistra e a partecipare alle loro primarie sotto mentite spoglie. 
Le primarie sui marciapiedi milanesi
Nell'espressione del voto sosterranno ovviamente il candidato meno favorevole alla sinistra. Dei quattro che si presentano non devono essere votati Giuseppe Sala (vedi punto 6 del piano segreto) e Antonio Iannetta, il cui successo nelle primarie potrebbe destare qualche dubbio sulla validità e correttezza delle stesse. Tra i due candidati del PD le preferenze degli infiltrati del centrodestra devono andare su Francesca Balzani che non è milanese (come invece lo è Majorino), è donna e molti non sanno nemmeno che faccia abbia.
5. Fingere sorpresa e disappunto alla candidatura della Balzani alle amministrative
Dopo la vittoria della Balzani, ottenuta anche grazie ai voti degli infiltrati del centrodestra, rispondere all'esito delle primarie del centrosinistra con finta preoccupazione, sottolineando la natura "comunista" della candidatura e, nel frattempo, cominciare a frugare nel passato di donna e amministratrice della stessa Balzani, cercando ogni punto che possa essere presentato a suo sfavore.
6. Ufficializzare la candidatura dell'esponente del centrodestra
Il giorno seguente alla diffusione dell'esito delle primarie del centrosinistra ufficializzare, finalmente, la candidatura dell'esponente del centrodestra. Si tratta ovviamente di Giuseppe Sala, che nel suo primo intervento da candidato del centrodestra, dirà: «Come ho sempre ricordato non sono un politico. Ho deciso di scendere in campo per il bene di questa città, perché credo che Milano meriti il meglio dal punto di vista organizzativo e manageriale. L'esperienza di Expo mi ha fatto conoscere ancor più questa città e credo di essere pronto a dare quanto di meglio sia possibile per i prossimi quattro anni. Ringrazio il centrodestra che mi ha fornito questa nuova possibilità di mettermi in gioco. Niente di strano per il mio passaggio da uno schieramento all'altro, io sarò il sindaco di tutti, indipendentemente dal colore politico di ognuno. Sarò il sindaco di Milano, una città che vola verso il futuro con grande speranza ed entusiasmo!».

Ecco, questo il piano segreto, anzi segretissimo, del centrodestra per vincere le elezioni del nuovo sindaco di Milano.


(ma se fosse davvero così, sareste proprio tanto sorpresi?)
 

venerdì 15 gennaio 2016

Milano è bella d'inverno


Milano è bella. Anche d'inverno, quando il freddo umido ti entra nelle ossa e il grigio del cielo e della nebbia sembrano togliere ogni parvenza di vita a strade e palazzi. 

Ma proprio nel grigio milanese, se si lascia correre l'occhio, si possono trovare nuove sensazioni, nuovi colori, nuove emozioni.

Perché ridiciamocelo ancora una volta, che male non ci fa: Milano è bella. 

Sì è bella, anche d'inverno.


L'imponenza del Duomo sotto il grigio cielo milanese

Il Generale Missori non lo ferma nemmeno la neve

La bellezza senza tempo dell'Abbazia di Chiaravalle

Porta Romana imbiancata, di primo mattino

Rastrelliere artistiche

La Torre Velasca, grigio nel grigio

Navigli, barconi e movida

La vedovella gelata

Al riparo dei portici di piazza Duomo

Dimmi, che fai, silenziosa luna?

La solitudine invernale dei giochi pubblici

Il tram e le sue lampadine

Il corso di Porta Romana in tutto il suo splendore

Quattro passi nel parco

Tramonto milanese con gru, torre e albero

Marcello Calabrese che suona al cospetto del re

In Darsena il Natale è speculare

Un'ospite infreddolita bussa alle finestre di casa

Il Duomo riesce sempre a stupirci. Anche quando nevica


Milano o new York?

Aspettando il ritorno della primavera


Se invece hai malinconia della bella stagione, leggi il post Milano è bella d'estate.


domenica 27 dicembre 2015

Quando De Corato era vice sindaco e ce l'aveva coi caloriferi troppo caldi

Riccardo De Corato
Era il 2008. A Palazzo Marino c'era Letizia Moratti.

Stavo partecipando al lancio di un nuovo giornale, un quindicinale delle zone di Milano, e dalla sede centrale ci era arrivata l'indicazione di intervistare, per il primo numero, il vice sindaco milanese Riccardo De Corato.

L'intervista era stata affidata a me, ci ero andato con la caporedattrice centrale del giornale, che lavorava in un'altra città del Nord Italia ed era venuta a Milano per l'occasione.

De Corato ci aveva accolti nel suo grande ufficio di Palazzo Marino: uno stanzone dall'alto soffitto affrescato che aveva quasi nel mezzo la sua scrivania. Era inverno e, come accade anche in questi giorni, l'argomento sulla bocca di tutti era l'alto livello di polveri sottili nell'aria, in poche parole l'inquinamento che stringeva (proprio come stringe oggi) nella sua morsa la città.

«È colpa del riscaldamento»

De Corato aveva detto le stesse cose che ha ribadito oggi – insiema al suo compagno di coalizione, il leader della Lega Nord Matteo Salvini – a commento della chiusura totale del traffico per tre giorni decisa dalla giunta Pisapia: «Le automobili non c'entrano niente con lo smog, è inutile che la sinistra continui a chiederci interventi sulla circolazione dei mezzi in città».

Il vice sindaco di origini pugliesi aveva le idee precise, come le ha oggi, al proposito: «Il problema inquinamento è creato dal riscaldamento. I milanesi devono rendersi conto che bisogna rinunciare a qualche grado, che non si può morire di caldo nelle case e poi pretendere che in città non ci sia lo smog. Lo devono capire, la soluzione è questa, non quelle che riguardano il blocco del traffico».


Quella finestra aperta

Mi ricordo che mentre prendevo appunti mi ero accorto che nello stesso istante in cui diceva queste parole il suo sguardo era andato, quasi con noncuranza, in direzione della finestra del suo ufficio, uno di quei grandi finestroni tipici dei vecchi palazzi che era aperto, spalancato. E nonostante questo lui era in maniche di camicia, in quel momento, e noi – la caporedattrice e io – sudavamo per il caldo presente nella stanza.

Per questo De Corato si era sentito in dovere di aggiungere, sempre con noncuranza: «Lo dico sempre qui in Comune, che bisognerebbe abbassare i caloriferi, qui fa veramente sempre troppo caldo...».

E poi aveva cambiato discorso, senza manifestare il benché minimo imbarazzo.



Mi hanno (ri)rubato la bicicletta



Non vorrei annoiare gli sparuti lettori di questo blog, dicendo che mi hanno rubato di nuovo la bicicletta.

Lo faccio solo perché questa volta non era una "bici cesso", come l'altra volta, ma era una fiammante due ruote, solida e silenziosa. Mi ci ero affezionato, anche se ce l'avevo solo da tre giorni. Sì, è durata tre giorni prima che se la portassero via dal cortile di casa mia.

Al di là dell'aspetto dei tre giorni, che comunque ha sempre il suo bell'effetto, parlo di questo mio nuovo furto subìto perché qualcuno, da una finestra, ha visto il ladro in azione e ha risposto al mio appello "Qualcuno ha visto qualcosa?".

Ecco il risultato, una "tavola" degna del miglior Buzzati, con identikit del ladro e descrizione della situazione. Non servirà a niente, ma credo si tratti di uno dei primi casi nella storia di identikit autogestito e contestualizzato nella storia dei furti di biciclette!




La didascalia recita:

Via xxxxxxxxxxx 17, 23 dicembre 2015, ore 14.00 circa.
Il ladro esce dal portone con la bici.
Ha una corporatura media e un viso ovale. Dimostra tra i 40 e i 50 anni d'età. 
Indossa un giubbotto corto, un cappello con visiera e uno zainetto sulle spalle. Arrivato all'altezza del civico 15, attraversa la strada e appoggia la bici al palo.
Citofona (o finge di citofonare) al civico 14, poi estrae un cellulare di colore bianco e telefona (o finge di telefonare).

Dopo di che, probabilmente dopo aver girato l'angolo, è sparito con la mia bicicletta, una LERI verde scuro, molto scuro, con freni a bacchetta.


L'augurio che faccio al suddetto ladro, è un classico di Antonio Albanese/Alex Drastico (lì si parla di motorino, ma il principio è lo stesso):




venerdì 11 dicembre 2015

L'insopportabile e inutile intrusione delle martellanti offerte telefoniche


Sono in ufficio, sto lavorando, suona il cellulare.

Il numero che appare sul display non è registrato nella mia rubrica, chissà chi mi chiama. Forse un nuovo cliente?

Rumore di sottofondo, come se il mio interlocutore si trovasse in un palazzetto dello sport, con tanta gente sugli spalti a fare cagnara.

Dopo qualche secondo di sospensione ecco una voce, da lontano: «Buongiorno chiamo per conto di xyzsrtysj xoktyizxytoi, le volevo proporre la nostra ultima promozione...».

«Scusi, scusi, si fermi un attimo. Per chi lavora lei? Non ho capito...».

«La chiamo per conto di yhxtaonilert kuytxvelastr, volevo proporle...».

«No, scusi... vabbè... mi dica almeno come ha fatto ad avere il mio numero di cellulare, chi gliel'ha dato?»

«È perché lei è un cliente xxx (nome della mia compagnia telefonica), giusto? Io chiamo per conto di klixtgyzart fhuztkyxtkt per proporle...»

«No, guardi, scusi, la fermo subito, così non perde tempo lei e non lo perdo nemmeno io. Non ho bisogno di niente, non mi serve niente, grazie lo stesso...»

«Ma guardi, la promozione che le proponiamo...»

«No, scusi, ripeto, grazie, non mi interessa, la vostra promozione...»

«Incredibile! No, davvero incredibile...»

«Incredibile che cosa, scusi?»

«Incredibile che neanche stia a sentire quello che devo dirle e mi dice subito che non le serve niente... io vorrei...»

«No, guardi, di incredibile c'è solo la sua insistenza. Lei mi chiama disturbandomi sul cellulare, mentre sono al lavoro, non capisco nemmeno da parte di chi, le dico che non mi interessa quello che ha da dirmi e lei ha anche la sfrontatezza di dirmi che è incredibile? La saluto...»

«No, ma non esiste che non stia ad ascoltare quello che ho da dirle, signor Luca, io vorrei solo...»

«...allora non capisce, non voglio essere disturbato, non mi interessa quello che ha da dirmi. Mi ha chiamato lei, non l'ho cercata io. Grazie e buongiorno»

«Ma io volevo dire che...»

Click


Una scena che si ripete più volte al giorno 

Questa scena, più o meno così, si ripete due, tre, spesso anche quattro volte al giorno. Al cellulare o al telefono fisso. In ufficio e a casa.

Niente contro questi poveri ragazzi (spesso stranieri) dei call center che, di certo sottopagati, sono costretti a sorbirsi gli insulti e le rimostranze delle persone che sono obbligati a disturbare a qualsiasi ora della giornata.

Nessuna pietà, invece, per le compagnie telefoniche che programmano a tavolino questa tortura, senza dimostrare un benché minimo rispetto per chi sta dall'altra parte del telefono.

Se ne renderanno conto, prima o poi?



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