venerdì 6 novembre 2020

Coronavirus, diario milanese Novembre 2020_1


 
Diario giornaliero del Coronavirus in Italia e in particolare a Milano, a partire dal Giorno 1, quello che ha fatto registrare la prima vittima dovuta al Covid-19 (era il 21 febbraio 2020). E a ripartire dal giorno 6 novembre 20202, giorno di inizio della "zona rossa" che ha riportato il lockdown in tutta la Lombardia.


Diciassettesima parte.


Domenica 7 novembre 2020

 
Questa zona rossa è ben diversa dal precedente lockdown, almeno in questi primi giorni. Durante il giorno sono aperti molti più esercizi commerciali – come ad esempio i parrucchieri, i bar, i tabaccai – e per questo la gente nelle strade è molta di più di quanto non lo fosse in marzo e nei mesi successivi.

Non si vedono, per ora, pattuglie di vigili o forze dell'ordine che verificano il motivo dell'uscita delle persone e chiedono di mostrare la famosa (ritornata famosa) autocertificazione. 
 
Il DPCM cui dobbiamo fare riferimento noi che viviamo in una zona rossa vorrebbe che noi uscissimo solo per motivi di lavoro, urgenza o assoluta necessità. Comprare le sigarette è assoluta necessità? Probabilmente sì, se si è in crisi di astinenza. Tagliare i capelli è un motivo d'urgenza? Forse sì, se questi hanno superato le spalle. Essere costretto ad andare in ufficio quando potresti tranquillamente lavorare da casa è un'esigenza improrogabile? In alcuni casi sì, quando i rapporti tra colleghi sono essenziali alla buona riuscita di un progetto...

E forse è giusto così: si cerca di contenere la circolazione delle persone senza incidere troppo sull'economia generale. Il messaggio di fondo che caratterizza questo nuovo lockdown sembra quindi essere: abbiamo fissato regole molto strette ma non saremo così pressanti nel farle osservare. Ti abbiamo avvisato che la situazione è grave, ti abbiamo detto che cosa dovresti fare, ma ti lasciamo maggiore libertà di uscita, non ti obblighiamo a restare chiuso in casa tutto il tempo, ti concediamo alcuni momenti di sfogo, in cui tu possa tornare a sentirti vivo in mezzo alle altre persone.
 
Ma attenzione: potrebbe trattarsi di un approccio soft adottato in questi soli primi giorni, per non creare traumi ed eccessive reazioni nella gente. Vedremo se dalla prossima settimana qualcosa cambierà.


Venerdì 6 novembre 2020

 
Svegliarsi con quella sensazione che pensavamo di non riprovare più. Quell'idea di mondo sospeso, ovattato, silenzioso.
 
Le macchine sotto casa non si sentono, ma oggi è normale, è giorno di mercato
 
 
Lo scorcio che riusciamo a vedere dal nostro balconcino – ancora lui, lo stesso di qualche mese fa, destinato a tornare (anche se non con le modalità di prima) protagonista – ci mostra però tanti buchi lungo i lati della via. Ci sono solo le bancarelle di generi alimentari, non c'è il venditore di libri e nemmeno quello di vestiti. E allora la confusione subito mi assale: ma le librerie non possono restare aperte? Forse i negozi e non le bancarelle?

Ci risiamo, Milano e tutta la Lombardia sono ricadute nel lockdown, anche se questa volta nessuno vuole pronunciare questa parola. Si teme che anche solo a parlarne l'effetto sia ancora più devastante, nelle nostre teste. Si parla solo di "zona rossa" e non è detto che sia tanto meglio.

Perché questa volta la chiusura – anche se un po' mitigata rispetto a quella di marzo – sta avendo effetti molto più pesanti sulla nostra psiche
 
A marzo eravamo protagonisti di una vicenda sconosciuta, di cui sapevamo davvero poco. Sapevamo che centinaia di persone stavano morendo negli ospedali e nelle case di cura. Sentivamo i racconti degli operatori sanitari, che raccontavano di scenari tragici, vedevamo i camion che trasportavano le bare, leggevamo i numeri dei contagi, delle terapie intensive, delle vittime. Eravamo solidali e soffrivamo con le persone che avevano avuto lutti in famiglia e anche con tutti quelli – tanti – che avevano il lavoro interrotto, l'attività chiusa, il problema di arrivare a fine mese per mantenere sé e la propria famiglia.

Ma eravamo chiusi nelle nostre case, protetti dalle nostre mura e avevamo l'impressione che questo potesse bastare a difenderci dal virus. Conoscevamo poche persone contagiate, ne sentivamo parlare, ma in pochi ne eravamo toccati personalmente.

Oggi lo scenario è completamente diverso. I contagi sono aumentati a vista d'occhio e sono entrati in tutte le case. Anche tra i personaggi famosi si contano a decine, ne parlano le televisioni, ne scrivono i giornali. A marzo non se ne sentiva uno, oggi sono diffusi in ogni settore: dal cinema allo sport, dalla politica al mondo della cultura, eccetera eccetera... 
 
Si dice: «È perché oggi facciamo più tamponi». Balle, la gente oggi si ammala, prende la febbre, la tosse, è fiacca, ha problemi respiratori e altro. A marzo non era così. Si ammalavano, purtroppo molto gravemente, le persone che entravano in contatto con il virus in determinate situazioni, per lo più i pronti soccorsi, le case di cura, gli ambulatori dei medici di base. Il contagio era figlio della nostra poca conoscenza del virus, ci aveva colti di sorpresa e ci abbiamo messo alcune settimane per capire le sue modalità di diffusione.

Oggi è diverso, il virus è nelle strade, nei negozi, sui mezzi pubblici, ormai anche nelle case. E per questo ci sentiamo più indifesi.

Oltre a questo c'è l'aspetto psicologico, che è molto più difficile da gestire rispetto alla scorsa primavera. Lì ci eravamo detti: «Mi sacrifico ora per stare meglio poi», tutti convinti che quel grande gesto fosse risolutore per la situazione che ci circondava. È vero, c'era chi avvertiva che in autunno la situazione sarebbe tornata grave, ma pochi ci credevano e i più preferivano non pensarci. Oggi è diverso, sappiamo quanti sacrifici abbiamo dovuto fare – soprattutto chi per il lockdown ha perso l'attività lavorativa – e non sappiamo se questo contribuirà a sconfiggere davvero e una volta per tutte il virus
 
Insomma, oggi più che mai non sappiamo per quanto andrà avanti questa storia. Per questo credo sarà difficile che riprendano le manifestazioni di unità e solidarietà organizzate alle finestre e sui balconcini, quelle che avevano caratterizzato la scorsa primavera. 
 
Il clima è cambiato, e non è solo una questione di temperatura esterna.

In tutto ciò, abbiamo un solo, grande, sollievo: per ora i decessi giornalieri sono meno di quelle dei mesi scorsi, almeno di quelli più tragici. La nostra speranza è che questo dato resti tale, il nostro sforzo deve essere indirizzato verso questo importante obiettivo.
 
 
Proviamo a confrontare i numeri dell'inizio del primo lockdown, quello che il 9 marzo interessò tutta l'Italia, e quelli di ieri.

Lunedì 9 marzo 2020

Contagiati nell'ultima giornata: 9.172 in Italia - 5.469 in Lombardia
Deceduti nell'ultima giornata: 463 in Italia - 333 in Lombardia
Pazienti in terapia intensiva: 733 in Italia - 440 in Lombardia

Giovedì 5 novembre 2020

Contagiati nell'ultima giornata: 34.505 in Italia - 8.822 in Lombardia
Deceduti nell'ultima giornata: 445 in Italia - 139 in Lombardia
Pazienti in terapia intensiva: 2.391 in Italia - 522 in Lombardia

La prima riflessione stimolata da questi dati è che i numeri che riguardano la Lombardia indubbiamente alti e preoccupanti – non sono più così percentualmente rilevanti, come in passato, sul totale nazionale. 
 
Ma anche questa è una riflessione triste: non è segno che in Lombardia oggi vada meglio (se non, al momento, per il numero dei decessi), è solo la conferma che il virus è oggi molto più diffuso e distribuito sul territorio italiano di quanto lo fosse lo scorso marzo.
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