martedì 17 luglio 2012

Se Nicole Minetti se ne va,
lombardi umiliati e offesi

L'aula del Consiglio regionale
Premessa: se il nostro fosse un Paese normale, questo sarebbe un articolo-commento normale. Non essendolo il primo, può essere scritto e letto solo come un paradosso il secondo.

Come lombardi ci sentiamo offesi, e non vorremmo sentirci anche umiliati. Siamo la Regione più produttiva d’Italia, il fiore all’occhiello del nostro Paese. Frutto di una politica accorta, dicono in molti, e della serietà dei nostri politici.

Il Consiglio regionale lombardo, non a caso, da molti (e a ragione) viene definito la terza Camera italiana, che si va a posizionare subito dopo il Senato e quella dei Deputati. A comporlo viene costantemente chiamato il fior fiore (!) della classe politica locale e grazie a questo le eccellenze regionali, in tutti i campi, sono ben riconosciute anche oltre i nostri confini. E allora, ecco che non può che darci fastidio il fatto che ci sia chi, senza apparente motivo, chieda per ragioni sconosciute – con molta probabilità di opportunità di natura strettamente politica – le dimissioni di un consigliere. Anzi, per essere precisi, di una consigliera. Stiamo parlando, non sarà sfuggito a nessuno, di Nicole Minetti.

La Minetti, inserita nel listino bloccato di Formigoni

Fatto grave, non c’è dubbio. Ma come, una giovane e intraprendente donna regolarmente eletta a rappresentare il popolo lombardo dovrebbe dimettersi perché persone estranee allo stesso Consiglio, per ragioni strettamente politiche, glielo chiedono in modo insistente? Ma perché dovrebbe farlo? Ha forse combinato qualcosa di grave? Oppure è diventata improvvisamente indegna di occupare lo scranno consigliare?

L’offesa arrecata alla Lombardia e al suo operoso popolo è ancora più grave se si pensa che la suddetta Minetti non ha dovuto nemmeno passare attraverso il giudizio degli elettori, ma è stata inserita nel listino di Roberto Formigoni, il candidato alla presidenza della Regione del centrodestra (Pdl più Lega Nord) che poi è risultato vincitore delle ultime elezioni.

È chiara l’utilità di tale listino: riunire un gruppo di persone d’eccellenza che, forse perché meno conosciute alla grande massa, rischierebbero di non essere elette se si presentassero alle elezioni. Ma per la loro capacità, integrità, professionalità, ecc. sono ritenute troppo importanti per non essere annoverate tra i componenti del Consiglio e allora la legge offre ai candidati alla presidenza della Regione l’opportunità di poterli inserire in un proprio listino, così che queste persone speciali possano arrivare direttamente alla carica di consigliere in caso di vincita del loro “pigmalione”.

Così è accaduto per la Minetti. Formigoni ha ritenuto che di lei non poteva fare a meno. Lei era poco conosciuta al grande pubblico, o perlomeno sconosciute erano le sue capacità in fatto di politica. Per questo Formigoni ha ritenuto di non poter rischiare che non fosse eletta e l’ha inserita nel suo listino, portandola, grazie alla sua vittoria, a fare parte della Terza Camera italiana. Un gesto lungimirante, non c’è che dire, che rischia ora di essere vanificato dalle richieste insistenti, provenienti da altrove, di dimissioni che la riguardano.

Formigoni deve dire «no, grazie!» a Berlusconi

Una pressione esterna che, riteniamo, Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, non deve accettare. Così come ha difeso finora la sua fidata consigliera dalle richieste provenienti dalle forze di opposizione – che, chissà perché, chiedevano a loro volta che se ne andasse – deve ora mostrare la stessa integrità e forza d’animo e dire “no, grazie” anche a queste nuove richieste, provenienti dal suo stesso partito e in particolare dal suo leader, Silvio Berlusconi. Formigoni, lo ripetiamo, non può accettare questo diktat.

Se lo facesse, anche lui pare averlo capito, diventerebbe il grande sconfitto di tutta la vicenda. Le dimissioni forzate non colpirebbero la sola Minetti, ma anche e soprattutto lui, che si vedrebbe con clamore sconfessare una scelta da lui fatta e sempre difesa, anche quando forse ne avrebbe fatto volentieri a meno. Forse che il vero bersaglio, politico, di questa richiesta sia proprio lui?

Ma, considerazioni di questo tipo a parte, se Formigoni non ha motivi per ridere, ancor meno ne abbiamo noi lombardi che da lui, in Italia e nel mondo, siamo più o meno degnamente rappresentati. E' per questo che di tutta questa vicenda, alla fine, i veri umiliati e offesi saremmo proprio noi. E non è che la cosa ci farebbe proprio un grande piacere...

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lunedì 9 luglio 2012

Di G8 e della funzione
delle telecamere di sicurezza

Katia, Stefano e Susanna non stavano più nella pelle. Era il luglio del 2001 e tra due giorni avrebbero rotto la solita routine del lavoro in ufficio e sarebbero andati a Genova, dove avrebbero partecipato – tutti e tre per la prima volta – a una grande manifestazione contro i poteri forti, quelli che governano il mondo e ne decidono le sorti senza tenere conto delle esigenze e dei diritti dei più deboli.

«Ci sarà il G8 – dicevano –, una cassa di risonanza fantastica, il messaggio di quelli che protestano farà il giro del mondo».

Con grande entusiasmo alla volta di Genova

Un grande entusiasmo, alla loro partenza. Un sentimento ben diverso da quello che avrebbero raccontato ai loro amici al loro rientro in ufficio, qui a Milano, tre giorni dopo. Faticavano a raccontare, cercavano di capire che cosa era successo ma non ci riuscivano, ricordavano momenti di grande paura e terrore, misti ad altri di altrettanto grande stupore per come si erano messe le cose.

A un certo punto, così avevano racontato, insieme a tante altre persone come loro – che il giorno dopo sarebbero tornate nei loro uffici a fare il loro solito lavoro di routine – si erano trovati chiusi tra due cordoni di polizia, in una stretta via. La polizia avanzava e la pressione e la paura aumentavano in uguale misura. Solo l'apertura di un varco – chissà, forse la polizia era stata attratta da qualcos'altro – aveva evitato che le persone si calpestassero a vicenda nella ricerca disperata di una via di scampo. Loro erano lì solo per partecipare gioiosamente a una manifestazione, com'era possibile che si fossero trovati coinvolti in azioni di guerriglia urbana di questo genere?

Una sentenza contro i capi delle forze dell'ordine

Questa è una domanda che molti si sono portati dentro per tanto tempo e che ancora non ha trovato una risposta convincente. Ma almeno oggi una sentenza ha decretato che qualcuno – cioè tutti coloro che ai quei tempi erano a capo delle forze dell'ordine coinvolte negli scontri di Genova – in quel frangente sbagliò completamente l'approccio a una situazione delicata e degna di grande attenzione. Quanto fu compiuto all'interno dell'ormai famigerata scuola Diaz – dove molti manifestanti che lì dormivano furono sorpresi nella notte, violentemente percossi, minacciati e, come dice la sentenza, senza nessun valido motivo arrestati – è stato oggi riconosciuto definitivamente come reato, e questo è un passo avanti per tutti coloro che credono che con la violenza non si ottenga niente di buono, men che meno se a usarla sia addirittura lo Stato.

Molti sono stati riconosciuti colpevoli e pagheranno per questo. Ma molti altri non subiranno mai le conseguenze delle scelte scellerate che fecero tra le strade del capoluogo ligure. E non pagheranno conseguenze, di sicuro, i politici che indirizzarono in questa occasione l'azione delle forze dell'ordine, coloro che balzati da poco al comando della nostra nazione avevano ritenuto di poter utilizzare Genova come banco di prova per una nuova stagione, quella che avrebbero voluto governare con l'utilizzo del pugno di ferro. Doveva essere come una sorta di avvertimento, Genova. «Sappiate che da questo momento si cambia, adesso ci pensiamo noi a ristabilire l'ordine...», solo che a Genova la forza fu usata in modo vigliacco, contro i più deboli, mentre i veri nemici, quelli che stavano mettendo a ferro e fuoco la città, furono lasciati liberi di sfogare tutta la loro violenza senza essere in alcun modo frenati.

Finalmente un po' di giustizia è stata fatta

Ma ora finalmente, un po' di giustizia è stata fatta. E, soprattutto, qualcuno ha chiesto scusa per quanto accaduto. L'ha fatto l'attuale capo della polizia Antonio Manganelli, che ha voluto al tempo stesso scusarsi con chi ha subito danni – fisici e psicologici – da quella vicenda ma anche ricordare quanto di buono fanno tutti i giorni le forze dell'ordine presenti sul nostro territorio. Sì, perché non bisogna confondere le due cose.

È vero, è sempre difficile restare lucidi e non fare di tutta l'erba un fascio quando ci si trova davanti a un vigile accusato di avere sparato nella schiena, in pieno giorno, a una persona che è a pochi metri di distanza e sta cercando di fuggire. Oppure distinguere tra il particolare e il generale quando una persona muore sotto le mani di alcuni agenti durante un controllo, con alcuni filmati "rubati" che mostrerebbero un trattamento troppo duro da parte degli stessi agenti.


Oppure quando si vedono due poliziotti (in borghese) che distruggono con pugni e calci il viso di una persona anziana che ha avuto la sfortuna di capitare sulla loro strada. O, ancor più, farlo quando si scopre che quei due stessi poliziotti avevano scritto nel verbale, redatto dopo il fatto, che erano stati loro a essere stati assaliti e che si erano dovuti difendere da un'aggressione. Per fortuna erano stati ripresi da una telecamera di sicurezza: se così non fosse stato, l'uomo con il volto distrutto si sarebbe beccato una denuncia e forse adesso sarebbe rinchiuso in una cella.

 

A che cosa servono le telecamere di sicurezza

E' difficile ma bisogna riuscire lo stesso a farlo. Non può, non deve venire a mancare la fiducia nelle autorità. «A far male – ha detto uno dei reduci della scuola Diaz – non sono state solo le botte e le minacce dei poliziotti, ma soprattutto la fine della fiducia nelle forze dell'ordine e nello Stato, che esse rappresentano. Quando chi ti dovrebbe difendere ti attacca senza un giusto motivo, allora non hai più davvero nessuno su cui contare, ti senti completamente abbandonato e vivi nel terrore, perché in qualsiasi momento chiunque potrebbe sconvolgere la tua vita senza doverne rendere conto a nessuno».

Una frase forte, che dovrebbe essere scritta dietro le scrivanie di tutti i capi di polizia, carabinieri, ecc. Perché non può esistere in nessuna parte del mondo civile che le telecamere di sicurezza installate ormai ovunque diventino uno strumento utile a difendersi dai soprusi di chi, invece di fare il proprio dovere di difensore dell'ordine pubblico, approfitta della divisa per sfogare la propria violenza ai danni di indifesi cittadini. Non sono state installate per questo, quelle telecamere.

Le parole di Manganelli sono dunque molto, molto importanti. Anche perché rappresentano un giusto contraltare all'assordante silenzio di tutti coloro che sono stati i veri protagonisti, diretti e indiretti, della scandalosa vicenda legata agli avvenimenti del G8 di Genova. Nessuno di loro ha mai chiesto scusa. Forse perché, e qui sta il problema, sono ancor oggi convinti di avere agito nel migliore dei modi possibile. Il modo migliore per far perdere ai cittadini la (già poca) fiducia nello Stato.


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giovedì 5 luglio 2012

Caldo infernale?
Niente paura, ci pensa l'Asl...

Caldo infernale in città, con punte che toccano e forse superano anche i 35 gradi? Niente paura, per chi è in cerca di un po' di refrigerio c'è l'Asl Milano. Forse invidiosa del successo ottenuto dalla fontana di piazza Castello, dove ogni giorni centinaia di "bagnanti" si rinfrescano con grande soddisfazione, la sede storica dell'Asl della città, quella posta in corso Italia, ha infatti deciso di mettere in piedi un'iniziativa davvero encomiabile.

Si chiama, o comunque si potrebbe chiamare, "Condizionatori che perdono" e consiste nel fatto che chiunque ne abbia voglia, in qualsiasi momento della giornata, può cercare un po' di fresco lungo i muri della facciata del palazzo, dove è possibile raccogliere su di sé l'acqua che fuoriesce dai condizionatori sistemati in prossimità delle finestre, ai piani alti. Rivoli di acqua che scendono un po' dappertutto: un'opportunità d'oro, concessa a chiunque ne voglia approfittare e, particolare da non sottovalutare – proprio in questi giorni in cui si parla di spending review – senza che sia necessario il pagamento di un qualsiasi ticket.

I condizionatori "generosi"

Una doccia fresca in pieno centro città

Già ce li vediamo quelli più organizzati, che si recano ogni giorno, nelle ore più calde, con costume e ciabattine di gomma in corso Italia, davanti all'Asl. Oppure quelli che, sudati per una lunga camminata in centro, ne approfittano per fare – prima di tornare a casa – una doccietta fresca, con tanto di accappatoio nello zaino, pronto per l'uso.

Le pozze d'acqua a terra
Ma, in tutto questo, un dubbio sorge spontaneo. Non è forse che questo impianto di condizionamento sia un po' vecchio, azzardiamo anche un "un po' fuori norma"? Ah, saperlo... in questi casi,
ci hanno raccontato una volta, bisognerebbe chiedere l'intervento dell'Asl...

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lunedì 2 luglio 2012

L'orgoglio invincibile
del buon vecchio Pirellone


Ci capita spesso di leggere – e di scrivere – di questioni attinenti alla Regione Lombardia. Non sempre edificanti, viene da dire, ma per una volta non vogliamo parlare di scandali o cose di questo genere.

È un discorso molto più terra a terra, quello che qui vogliamo affrontare, e riguarda l'uso delle parole da parte dei giornalisti.

Sempre alla ricerca della brevità, dell'immediatezza, ai giornalisti piace parlare e scrivere per formule, per simboli. Uno di questi riguarda, da lunghi anni, il grattacielo ex Pirelli, che dal 1978 è di proprietà della Regione Lombardia, che ne ha fatto la sua principale "casa" fino al momento in cui il presidente Roberto Formigoni ha deciso di innalzare un palazzo molto più alto (161,3 metri contro i 127 metri del Pirelli) per farne la sede centrale dell'ente amministrativo.

Progettato da Giò Ponti
e innalzato nel 1961

Il Pirellone, questo è il nome con cui viene indicato, in gergo, il palazzo che per tanti anni ha ospitato gli uffici dell'ente regionale. Termine che è divenuto nel tempo anche sinonimo di Regione Lombardia, intesa come ente: "Il Pirellone, oggi, ha deciso...", "Le indicazioni provenienti dal Pirellone...", "Il Pirellone decimato dagli avvisi di garanzia...".

Sempre lui protagonista, il grigio ma amato grattacielo milanese costruito nel 1961 su progetto di Giò Ponti, chiaro esempio – dicono gli esperti – di Razionalismo italiano, che nel 2002 fu anche tragicamente sventrato dall'aereo guidato dall'italo-svizzero Luigi Fasulo.

Una vecchia e rispettata presenza per i milanesi, che negli intendimenti del presidente Formigoni doveva essere soppiantata dal nuovissimo e fiammante Palazzo Lombardia, il secondo grattacielo più alto d'Italia, battuto solo da quello che sta per essere ultimato nella vicina zona di Porta Garibaldi. Per sceglierne il nome era stato anche lanciato sul sito della Regione un concorso attraverso il quale i cittadini lombardi erano invitati a indicare il nome preferito, così da potergli attribuire, a conti fatti, quello più amato da tutti. Alla fine su tutti è prevalso il semplice quanto didascalico Palazzo Lombardia (noi, nel nostro piccolo, avevamo proposto "Il Formigone", ma non siamo stati presi troppo sul serio...).

Il nuovo Palazzo Lombardia
è costato 400 milioni di euro

Tutti sforzi inutili. Sui giornali, nelle cronache, nei tribunali, si continua a utilizzare il nome Pirellone per indicare la Regione. Il buon vecchio e orgoglioso Pirellone, dunque, ha sempre e comunque la meglio sul più giovane e prepotente fratellone che, seppur sede degli uffici del presidente, della giunta e di tutti gli assessori regionali, è costretto suo malgrado ad avere un ruolo marginale nell'immaginario collettivo dei milanesi e dei lombardi in genere.

Sì, un ruolo marginale... e pensare che è costato la bellezza di ben 400 milioni di euro. Tutti prelevati naturalmente, in un modo o nell'altro, dalle tasche dei contribuenti.


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