giovedì 17 luglio 2014

Il padiglione USA di Expo 1900. Cioè, scusate, di Expo Milano 2015



Ieri è stata posta la prima pietra del futuro padiglione degli Stati Uniti d'America a Expo Milano 2015. C'erano tutti, all'inaugurazione dei lavori, persino il segretario di Stato americano John Kerry (anche se solo in collegamento da Washington).

Il padiglione è stato pensato per essere "un grande granaio di struttura leggera e accogliente, che promuove le peculiarità e le eccellenze americane", come sottolineato nella pagina dedicata del sito ufficiale di Expo 2015.

Il sito prosegue nella descrizione del padiglione:
«Un granaio che si sviluppa su due piani, con un terrazzo panoramico sul tetto, un caffè, un auditorium e un cortile interno. Alle pareti vi sono schermi video e giardini verticali fino al tetto, con piante provenienti dai 50 stati americani.
Animano il padiglione punti di ristoro, eventi, attività dedicate alla sostenibilità ambientale e alimentare insieme all’esposizione dei tanti prodotti enogastronomici statunitensi da scoprire percorrendo il percorso “dal campo alla tavola”.

L'exposition Universelle
di Parigi del 1900

Questo è il futuro. E ora uno sguardo al passato.

In solaio abbiamo trovato una delle pubblicazioni ufficiali dell'Exposition Universelle de Paris del 1900 (la prima pagina riporta questa dicitura: "En vente chez H.C Wolf Editeur - 110 Boulevard Saint-Germain PARIS). 

Si tratta di un leggiadro ed elegante album fotografico su cui sono riprodotti i migliori panorami della capitale francese, ospitante un'edizione speciale dell'Esposizione Universale, quella dell'inizio del XX secolo (e scusate se è poco).

Sullo sfondo una sempre presente Tour Eiffel, mai peraltro considerata degna di una foto solitaria, men che meno di un'indicazione didascalica, giusto per sottolinearne la presenza. Il che fa pensare che nel 1900 si era ancora nella fase in cui quello che sarebbe poi diventato uno dei simboli più amati e conosciuti di Parigi non era ancora sufficientemente apprezzato né dai parigini né da chi transitava nella capitale francese per i più vari motivi.

Il Padiglione USA, in Rue de Nations

Al di là di queste considerazioni, tra le grandi foto, a tutta pagina, ce ne sono un paio che riguardano il padiglione degli Stati Uniti d'America, naturalmente uno dei più sontuosi dell'intera Esposizione parigina. Richiama chiaramente la struttura del Campidoglio di Washington, la sede del Congresso degli Stati Uniti. Anche lui è posizionato dalle parti del Trocadero, sulla sponda opposta a quella della Tour Eiffel, e affacciato, come molti altri (i principali), sulla Senna, lungo la Rue de Nations.

Bello fare il paragone tra i due padiglioni, edificati a 115 anni di distanza l'uno dall'altro.

Il padiglione USA (palazzo bianco) all'Exposition Universelle di Paris 1900

La facciata del padiglione USA a Paris 1900

Il padiglione USA di Expo Milano 2015


Expo Paris 1900 - Expo Milano 2015, guarda anche il paragone dedicato ai padiglioni della Germania e quello dedicato ai padiglioni di Gran Bretagna, Austria, Ungheria, e Russia.


lunedì 9 giugno 2014

Le mamme milanesi e il loro presunto diritto di non fare la coda

La scuola è finita, per le mamme milanesi inizia la battaglia
Mattinata cruciale per molte mamme milanesi. Finita la scuola, da oggi comincia la lunga e faticosa organizzazione dell'estate, con bambini che devono essere giocoforza sbalestrati tra un corso estivo e l'altro, campi dell'oratorio, corsi di cavallo, laboratori artistici, ritiri sportivi in amene località alpine e appenniniche, ecc. ecc.

Oggi, lunedì 9 giugno è il giorno di inizio di tutto questo. Questa mattina le mamme stracariche di adrenalina hanno vestito i loro piccoli, e con la consueta energia – quella utilizzata per portarli a scuola negli altri nove mesi dell'anno – si sono recate nei luoghi di raccolta delle varie attività, pronte a battagliare come solo loro sanno fare.

Abbiamo avuto la fortuna di seguirle direttamente in una situazione standard, quella dell'inizio di un campus di un oratorio posto all'interno della cerchia delle mura. Lì, in fila per la registrazione, molte mamme cresciute forse anche in famiglie normali, serie professioniste, irreprensibili fustigatrici di costumi (di preferenza altrui), riescono a dare il meglio di sé, si trasformano in esseri prepotenti e maleducati, proprio come fanno alcuni rappresentanti del sesso maschile quando vanno a vedere una partita di calcio.

Per tante mamme milanesi le code per le attività dei loro figli sono una sorta di "stadio", dove tutto è concesso e le buone maniere diventano solo un lontano ricordo.

La fila è solo una fastidiosa formalità

La fila, per alcune mamme milanesi, è poco più di una formalità. Arrivano come furie, con i loro marmocchi, e ti si piazzano davanti come se niente fosse. Tu fai finta di niente, pensi che alla fine si faranno da parte dicendo «c'erano prima loro», ma sei un ingenuo. Il loro primo obiettivo della giornata, anzi della settimana, anzi forse della vita è arrivare prima degli altri, poco importa se questi sono lì da molto tempo prima.

Si può dire che queste mamme ritengano che il passare davanti agli altri – soprattutto se questi altri sono uomini, considerati in qualche modo invasori indesiderati di territori che dovrebbero essere riservati alle sole mamme – sia, in fondo in fondo, un loro diritto. E così non fanno altro che cercare di farlo rispettare, questo diritto.

Spingono, abbozzano fastidiosi taglia fuori con i gomiti, chiacchierano con l'amica avanti di qualche metro e siccome non riescono a sentirla bene si avvicinano a lei, rubando centimetri su centimetri. Oppure fingono di avvicinarsi al tavolo per leggere qualcosa e quando tornano sbagliano a reinserirsi nella coda, piazzandosi, guarda un po' te il destino, qualche metro avanti rispetto a prima.

Come quando sei dal panettiere

E' come quando sei dal panettiere. Ormai sei davanti al bancone, sai che tocca a te e mentre stai ordinando alla tua sinistra compare una massaia improvvisamente frettolosa – altra categoria da "stadio" – che allunga la mano e dice «cinque panini morbidi e un filoncino all'olio». Le fai notare gentilmente che c'eri prima tu (e forse anche svariate altre persone dietro di te) e questa ti guarda con aria sorpresa, come se si accorgesse solo in quel momento che all'interno della panetteria ci sono altri esseri umani che vorrebbero comprare il pane.

Succede proprio così. Davanti a me, per la registrazione di oggi c'era un bambino, da solo. Quando arriva il suo turno di registrazione sbuca una giovane madre arrivata dopo di noi e, con scatto felino, comunica alla signora seduta al di là del tavolo il nome di suo figlio.
«Scusi signora, abbia pazienza, prima c'è questo bambino, poi ci siamo noi, se permette...».
La reazione è il solito sguardo perso, teso a sottintendere una domanda di questo tipo: «ah, vuole dire che le cento persone che partono dal marciapiede, oltrepassano il cancello, salgono la scala, percorrono il corridoio, entrano nella stanza e dopo tre quarti d'ora giungono a questo tavolo, sono in coda...?).

Dalla sua gentile bocca non esce niente. Né un elegante «scusi, ha ragione lei», né un vago, «chiedo scusa, ero sopra pensiero», oppure al limite anche un agguerrito «no, guardi che c'eravamo prima noi!». Niente, solo quello sguardo perso, gelido, tipico del tifoso – irreprensibile padre di famiglia, stimato professionista, forse anche cresciuto in una famiglia normale – che sugli spalti, se ce l'avesse, pianterebbe un coltello nella schiena del tifoso avversario seduto davanti a lui.


E pensare che siamo solo al primo giorno...


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martedì 3 giugno 2014

E chiudiamolo al traffico,
questo centro città!


L'isola pedonale della piazza del Castello Sforzesco di Milano

La strada che conduce a una città più vivibile, come si suol dire a misura d'uomo, sembra essere ancora lunga.

Lo dimostrano le critiche all'isola pedonale voluta dal Comune di Milano per l'area antistante il Castello Sforzesco.

Le critiche che sono piovute su Palazzo Marino, e soprattutto sui più "odiati" dei suoi occupanti, il sindaco Pisapia e l'assessore Maran, non si contano e provengono da avversari politici – e questo non sorprende – ma anche da una buona parte di cittadini normali.

Eppure, tralasciando i politici o i soliti accecati per motivi ideologici (che griderebbero allo scandalo anche se da Milano scomparisse, ad esempio, l'influenza della mafia, bollando questa operazione come "una perdita di opportunità per la città"), può essere utile scoprire quali categorie possano ancora oggi essere contro la decisione di chiudere una parte della città al traffico automobilistico.

Chi, a Milano, è davvero contro le isole pedonali?

Lo sono sempre meno i commercianti, che cominciano a rendersi conto che la chiusura al traffico veicolare non è poi così dannosa per la loro attività.

Non lo sono coloro che devono muoversi in città per lavoro, che sono sempre più attrezzati con biciclette, scooter, al limite se proprio proprio devono andare in macchina, con uno dei servizi di car sharing, le auto condivise che sono sempre più diffuse in città. E alcuni milanesi, udite udite, stanno riscoprendo i mezzi pubblici.

Non lo sono la maggior parte dei giovani e dei giovanissimi, che stanno crescendo in una città sempre meno trafficata, dove nelle strade (e sui marciapiedi e sulle piste ciclabili...) le auto cominciano a perdere, piccolo passo dopo piccolo passo, il loro ruolo dittatoriale.

Non lo sono di certo i turisti, che possono godere della nostra bella città senza dover rischiare la vita a ogni incrocio di strada.

Insomma, chi si lamenta, allora? Le persone di una certa età, abituate a una Milano che va scomparendo, che non riescono più a fare a meno dell'auto, nemmeno per andare da qui a lì. Le persone che godono di privilegi, che nel traffico vedono friggere gli altri, perché loro possono evitarlo. Alcuni giovani che hanno ancora il mito dei motori e che vorrebbero trasformare le vie cittadine in piste da corsa, dove sia possibile mostrare agli altri la propria potenza superiore...

Isola pedonale al Castello Sforzesco: 
qui un mese fa si rischiava la vita

Mangiare lì, dove un mese fa si rischiava la vita

Tutte categorie, queste ultime, che non vedono di buon occhio, per tornare all'argomento di apertura, la chiusura di piazza Castello.

Oggi noi abbiamo mangiato lì, in quello che da molti è stato definito "un inaccettabile suk" (qualcuno ha anche aggiunto che "è molto meglio avere il traffico, a questo punto").

A fianco a me, seduta ai tavolini dei tanti punti di ristoro presenti sulle due "curve" antistanti il Castello, ho visto gente di ogni tipo: impiegati, manager, operai, turisti, scolaresche, segretarie, comitive...

Tutti tranquilli, rilassati, seduti a mangiare in punti della città in cui un mese fa si sarebbe rischiato la vita anche solo a sostare per una frazione di secondo. Tranciati da auto in corsa, desiderose di arrivare il prima possibile dall'altra parte della piazza.

In Piazza Castello da quando c'è l'isola 
pedonale, vengono da tutta Italia
Oggi no, al posto dell'assordante rumore dei motori rombanti c'è la piacevole musica delle bancarelle, sottofondo di un approccio alla città diverso, più a misura d'uomo.

Tutto è perfezionabile, tutto può essere migliorato. Ma come si fa a dire che non è già meglio così?


(e intanto in Francia – come già in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Belgio – è partito il piano di incentivi per chi si reca al lavoro in bicicletta, che prevede un rimborso di 25 centesimi per ogni chilometro percorso con la due ruote nel percorso casa-lavoro, come ben spiegato in questo articolo pubblicato su bikeitalia.it).


Aggiornamento luglio 2015

 

Nessun pericolo di essere investiti
Eccoci qui, a un anno dalla situazione descritta nel nostro post. La situazione in piazza Castello è davvero cambiata: l'isola pedonale è diventata una realtà ormai definitiva.

Anche davanti al Castello Sforzesco, dunque, le macchine sono state finalmente scacciate e pure qui – come in altri sempre più numerosi luoghi milanesi – oggi è possibile passeggiare serenamente, godendo della frescura procurata dalla grande fontana e dello spazio che si è venuto a creare grazie all'eliminazione della carreggiata.

Lavori in corso
I lavori sono ancora in corso, recitano i cartelli posti ai confini della nuova area pedonale, ma già oggi è facile immaginare il livello di vivibilità finalmente raggiunto da questa parte di Milano, così frequentata e amata da milanesi e turisti.

Un bel biglietto da visita nei confronti dei visitatori provenienti da ogni parte del mondo, che potranno finalmente attraversare senza problemi quella che fino a poche settimane fa era una delle zone più trafficate e pericolose della città per pedoni e ciclisti.

L'isola pedonale di piazza Castello è finalmente realtà
E ora, invece, tanti percorsi pedonali uniti a una nuova fiammante pista ciclabile che circonda tutta l'area.

Un altro tassello della nuova Milano. Una città, ci sembra di poter dire, sempre più bella e vivibile.







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venerdì 9 maggio 2014

Piazza XXIV Maggio, torna a pulsare
uno dei cuori popolari della città


Riqualificazione di piazza XXIV Maggio e Darsena
Grandi proteste, grande disagio, grande disappunto. A Milano è sempre tutto molto grande, a partire dai nuovi palazzi che la dominano sempre più, ormai, dall'alto.

Non poteva dunque restare "in piccolo" la chiusura di Piazza XXIV Maggio per i lavori di riqualificazione che la riguardano.

Riqualificazione di XXIV Maggio
E' uno dei maggiori interventi urbani che la città metterà in campo in vista di Expo 2015, l'esposizione universale che avrà inizio il 1° maggio 2015. Una riqualificazione destinata a cambiare – si dice in meglio – l'aspetto di questa piazza, molto amata dai milanesi e dai giovani che vi si riversano ogni sera per recarsi nei vicini luoghi della "movida".

Riqualificazione della Darsena
Piazza XXIV Maggio tornerà a essere, come una volta, il cuore pulsante del sistema Navigli. Un cuore in gran parte pedonale, arricchito da un nuovo spazio destinato al mercato rionale, dalla riapparizione del Ticinello, il canale interrato tanti anni orsono che riaffiorerà proprio ai piedi della Porta Ticinese, l'arco eretto per volere di Napoleone agli inizi del 1800, e da filari di platani posti a cornice della parte monumentale.

Riqualificazione della Darsena
Insomma, come dicono i progettisti, quella che ne uscirà sarà una vera e propria "terrazza sulla Darsena", anch'essa riqualificata dopo lunghi anni di abbandono. Non dimentichiamoci come si era ridotto, questo angolo storico di Milano, dopo la scellerata decisione della giunta Albertini, nel 2004, di costruire qui sotto un parcheggio pubblico.

La Darsena, dopo la "cura Albertini"
Ci si dimentica in fretta delle cose (e a volte non sempre in buona fede). Ma fino a qualche mese fa quello che fino a qualche anno prima era stato il porto di Milano – uno dei porti più attivi d'Italia: nel 1953 era il tredicesimo porto nazionale per quantità di merce ricevuta! –, era stato trasformato (dall'incuria e da una serie di scelte politiche e amministrative sbagliate) in un insieme informe di sterpaglie, un grande monumento al degrado sotto gli occhi di tutti, cittadini e turisti.

La Darsena, un paio di anni fa
Ora, con un po' di quella pazienza che gli avversari politici del sindaco Pisapia sembrano non voler concedere (la fine dei lavori è prevista per il prossimo febbraio 2015), sarà possibile donare nuova vita a quest'angolo popolare di Milano. I milanesi che vivono in questa zona ritengono che Porta Cicca, così come la chiamano loro, sia l'unica vera porta di Milano. Non è proprio così, ma è certo che questo sia uno dei monumenti più amati e conosciuti da chi in questa città ci vive o ci capita anche solo per una scappata, di lavoro o di divertimento che sia.

Piazza XXIV Maggio, uno sguardo al passato

Da un'esposizione all'altra. Partiamo da Expo 2015 e, a ritroso, attraverso i decenni, arriviamo all'Esposizione Italiana di Milano del 1881. La fonte è la pubblicazione "Milano e l'esposizione italiana del 1881 - Cronaca illustrata", Fratelli Treves, Editori.

Qui si parla di piazza XXIV Maggio e il testo, che qui sotto riportiamo, è corredato da una splendida stampa a tutta pagina, che qui riproduciamo. Buona visione (cliccando sull'immagine la si può ingrandire) e buona lettura.


"Vogliamo occuparci non solo dell'Esposizione, ma anche di Milano, di questa città che la volle e che l'accoglie nel suo grembo (...).
Diamo pertanto un panorama di Milano veduto da Porta Ticinese, davanti a quell'arco, che, simbolo di pace, si voleva eretto dopo battaglie sanguinose a tutta gloria di Napoleone Primo. Milano si estende davanti ai nostri sguardi, colle sue mille case e col Corso popoloso di Porta Ticinese, il quale si dilunga ampio, ritto, e si perde al nostro occhio. A destra, s'erge il superbo Duomo "sogno di marmo", come lo chiamò un poeta: sorge colle sue guglie meravigliose le quali, nei giorni sereni, su questo bel cielo lombardo tutto azzurro, spiccano come ricami di zucchero. Il panorama di Milano lo vedremo presto da altre altitudini: lo vedremo dal pallone frenato, che sta cucendosi e che, senza pericolo, ci porterà nei campi del cielo. Da questi la Milano, ora ai nostri lettori presentata in un disegno, sarà contemplata in tutta la sua ampiezza, con tutto il suo formicolio d'abitanti e di visitatori.
L'arco, che vedete, è uno dei principali di Milano. E' di ordine jonico, severo e maestoso, costruito a guisa dei portici onorari che si innalzavano in Roma. Quando Napoleone vinse il 15 giugno 1800 la battaglia di Marengo, novantaquattro cittadini pensarono d'erigere un arco che ricordasse quella vittoria, a capo del Corso intitolato allora a Marengo. L'architetto Luigi Cagnola assunse l'incarico di costruirlo; ma essendo occorso molto tempo per provvedere il granito, solo nel 1814 venne condotto a compimento. Era già pronta l'iscrizione che doveva celebrare Napoleone e ricordare la di lui vittoria, quando il semidio cadde dalla sublime sua potenza: e messa in disparte la prima iscrizione, vi fu sostituita la presente: Paci populorum sospitae. Cioè: Alla pace liberatrice dei popoli".



lunedì 28 aprile 2014

E quella casetta di ringhiera
diventò sempre più piccola


La signorina Liliana ha quasi 80 anni e vive in questa casa di ringhiera fin dalla nascita.

Suo, padre, dice, quando era bambino aiutò a costruirla, il nonno lo mandava a dare una mano ai muratori, per qualche soldo. Aiutava a trasportare la sabbia con le carriole, sottolinea la signorina Liliana.

Poi, quando si era sposato, il padre della signorina Liliana aveva pensato fosse del tutto normale venire a vivere in questo palazzo, che sentiva in qualche modo anche suo. Gli sposini si erano sistemati in uno dei bilocali che si affacciano sulla ringhiera, al secondo piano, quello in cui vive ancora oggi la signorina Liliana.

A quei tempi il bagno era in fondo alla ringhiera ed era comune, ma quello che oggi viene visto come un disagio inconcepibile, a quei tempi – erano suppergiù gli anni 30 – era visto come un lusso che non tante persone a Milano si potevano permettere.

«Quanto spazio abbiamo tutto per noi!»

Quando era entrato nella nuova casa, il padre della signorina Liliana aveva detto alla moglie: «Quanto spazio, abbiamo tutto per noi! Adesso stiamo attenti a non fare come a casa dei miei genitori, che è strapiena di cose e non c'è più un centimetro libero».

Era stato facile profeta.

Di lì a poco, infatti, era nata la signorina Liliana. Il locale che fino a quel momento era stato il salottino di casa, era stato trasformato in breve nella stanza della figlia. Per questo la sera, da quel momento, i genitori avevano cominciato a passare direttamente dalla cucina – il locale più caldo della casa, grazie alla cucina economica a legna che aveva la doppia funzione di cucinare e scaldare – alla camera da letto.

Oltre che dal fornello, la cucina era occupata dal lavello, dalla credenza e da un tavolo con quattro sedie. Ora si era aggiunta anche una poltroncina, su cui si sedeva il padre quando tornava stanco dal lavoro.

Nella camera da letto dei genitori, oltre al giaciglio c'era un treppiedi con catino dove ci si lavava – con l'acqua presa dalla fontanella comune posta all'esterno, all'inizio del ballatoio –, un grosso armadio di legno scuro e un cassettone altrettanto scuro su cui era posto uno specchio basculante attorniato da immagini della Madonna e dei Santi, affiancate da lumicini che venivano accesi nelle occasioni speciali. Alle pareti altre immagini sacre e sbiaditi ritratti fotografici di nonni e parenti vari.

Uno spazio sempre più ridotto

Il secondo colpo allo spazio vivibile dell'appartamento lo aveva dato l'avvento del frigorifero. Si era cominciato a parlarne già nel dopoguerra, ma il padre della signorina Liliana, operaio specializzato, lo aveva regalato a sua moglie ben dopo la metà degli anni 50. Forse era il 1957, ma su questo non c'è certezza. Un fantastico elettrodomestico che aveva permesso alla madre della signorina Liliana di fare la spesa una volta ogni tanto, non più tutti i giorni come era costretta prima. Ma che aveva anche ridotto ancor più lo spazio della cucina.

Il terzo attacco era arrivato invece dalla televisione, attorno al 1960. Quella grossa scatola capace di regalare immagini in bianco e nero era entrata nella casa della signorina Liliana da grande protagonista, sistemata in cucina, sopra un mobiletto fatto fare apposta da un falegname amico del padre. Il tavolo su cui si mangiava era stato direzionato – così come del resto la poltroncina del padre – in modo tale che tutti e tre i componenti della famiglia potessero godere dello spettacolo senza bisogno di contorsionismi.

Ma la vera rivoluzione era arrivata, nella casa della signorina Liliana, verso la fine degli anni 60, in pieno boom economico. Una città in grande evoluzione come Milano non poteva più permettere che i suoi cittadini si servissero di bagni comuni, non privati. All'improvviso quella era sembrata una cosa inaccettabile, per cui tutti – spesso con grandi sforzi economici e quindi con grandi sacrifici – si erano preoccupati di porvi fine.

Anche la signorina Liliana, ormai adulta, e la sua famiglia si erano adeguati, sacrificando parte della stanza dei genitori per la costruzione di un bagno finalmente di uso esclusivo – seppur "cieco", senza finestre – corredato di lavandino, water, bidet e vasca da bagno, tutti ovviamente dotati di acqua corrente.

Era stata, quella, una grande botta al poco spazio casalingo ancora a disposizione, che si era andato ulteriormente a ridurre quando nei primi anni 70 era arrivata la lavatrice, incastrata tra bidet e vasca. La gestione della casa era ormai nelle mani della signorina Liliana, figlia unica e nubile di due anziani genitori (in quegli anni avere più di 65 anni voleva dire essere ormai nella "terza età").

Le cose di una vita

Oggi in quella casa, come detto, ci vive la signorina Liliana, da sola. Lei è nata lì e da lì non si è mai mossa. L'altro giorno ho suonato al suo campanello per avere da lei un'informazione. Quando ha aperto il battente del suo portoncino che si affaccia sul ballattoio del secondo piano, non ho potuto fare a meno di notare le tante cose accumulate nel suo appartamento. Oggetti d'arredo, soprammobili, scatole, giornali accumulati e conservati nel corso di un'intera vita.

Lei si è accorta della direzione del mio sguardo e, forse per giustificarsi o forse perché aveva semplicemente voglia di chiacchierare, mi ha raccontato la storia di suo padre, di quando appena sposato aveva chiesto alla moglie di non riempire troppo la casa, come invece avevano fatto i suoi genitori...



I racconti della signorina Liliana, vedi anche "Quando a Milano c'è stata la guerra".


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giovedì 10 aprile 2014

Dopo Silvio, c'è solo Marina


Lo so che questo è un blog che parla, che vuole parlare, esclusivamente di Milano.

Lo so che non se ne può più di politica gridata, di politica gossip, di politica di bassa lega.

Lo so che non se ne può più di proberlusconi vs controberlusconi.

So tutte queste cose. Ma io questa mia convinzione la devo espletare adesso – qualche ora prima che il Tribunale di Sorveglianza di Milano decida la pena (carcere, arresti domiciliari, servizi sociali) da attribuire all'ex cavaliere – prima che sia troppo tardi.

Io penso, ho sempre pensato e sempre penserò, che il dopo Berlusconi si chiama Berlusconi. Penso, credo fermamente che a Silvio politico – quando lui deciderà di farsi del tutto da parte – seguirà Marina politica.

Ne sono certo, non perché me l'abbia detto qualcuno o perché abbia un contatto diretto con i protagonisti della vicenda.

E' solo che sono arciconvinto che Marina alla fine dirà di sì: «Me l'hanno chiesto con tale insistenza che non potevo continuare a dire di no» oppure anche «Il Paese ha bisogno oggi più che mai di qualcuno che sappia governarlo, è ora di darsi da fare per questa povera Italia».

Marina scenderà in campo. Per la gioia della sua famiglia, che potrà continuare a "contare" (in termini di potere e di soldi) e dei collaboratori stretti dell'attuale capo, che potranno continuare a farsi mantenere (politicamente parlando, ovviamente).

Gli elettori di Forza Italia, poi, saranno felicissimi di non dover cambiare nome di riferimento (siamo così pigri, noi italiani...)

Marina sarà il dopo-Silvio, il berlusconismo avrà ancora vita lunga. Ecco, l'ho messo nero su bianco, perché non si dica, un giorno, che io non l'avevo detto!

P.S.: tra l'altro i Berlusconi vivono e operano a Milano e dintorni, non è che siamo usciti così tanto dal seminato.


domenica 16 marzo 2014

Buon compleanno, signor Buriani


Una figurina Panini di Buriani
Oggi, 16 marzo 2014, Ruben Buriani compie 59 anni.

E chi se ne importa diranno in molti. E, soprattutto, chi è questo Buriani?

Già, chi è Ruben Buriani? La figurina qui a lato parla chiaro: si tratta di un calciatore o, meglio, di un ex calciatore, che ha giocato nel Milan per quattro o cinque stagioni. Si parla della fine degli anni '70, primi anni '80 (bisognerebbe aggiungere dello scorso secolo, ma a me questa cosa fa sempre un po' impressione).

Un giocatore come tanti altri, dirà qualcuno, dimenticando che è stato una pedina fondamentale del Milan del "Barone" Liedholm che vinse lo scudetto della stella nel 1979. Uno che non passava inosservato, in ogni caso, non fosse altro per quella sua zazzera bionda, biondissima, quasi bianca. Tanto che qualcuno lo chiamava "Pannocchia".

Il biglietto della mia prima partita
Per me Buriani è uno dei giocatori del Milan più importanti di sempre, perché nella mia prima partita vista dal vivo ha segnato due gol.

Ai tempi vivevo in Valtellina e andare a San Siro (allora si chiamava solo così) voleva dire stare in giro tutta la giornata. Partenza col pullman all'alba, forniti di zainetto con panini (di segale, con la bresaola) e lattine (non c'erano ancora la mini bottigliette di plastica d'acqua minerale, né esistevano i divieti di portare le lattine all'interno dello stadio). Viaggio sonnecchioso fino a Milano, con l'umore dei tifosi che aumentava man mano che ci si avvicinava allo stadio. E poi giù tutti di corsa, a conquistare un posto in tribuna, che naturalmente non era numerato e quindi chi prima arrivava... Poi, dopo la partita, tutti di corsa alla ricerca del pullman e, dopo lunghe ore di cammino a passo d'uomo, imbottigliati in un traffico mai visto, finalmente il lungo viaggio di ritorno, con atmosfera felice o triste, a seconda del risultato della partita. A casa ci si arrivava che era ormai notte fonda.

Facchetti e Rivera, i capitani

Il derby del 6 novembre 1977

La mia prima partita è andata in scena il 6 novembre 1977 e non era una partita normale. Si trattava di un derby e i derby non sono mai partite normali.

La squadra di casa era l'Inter, ma questo a me – tredicenne che per la prima volta metteva piede nella "Scala del calcio" – poco importava. Quando sono entrato a San Siro sono rimasto letteralmente a bocca aperta. Il verde del prato, le pubblicità a bordo campo, il grande schermo elettronico, le tribune non ancora piene ma già gremite di tifosi, con quelli del secondo anello (il terzo? macché, quello non c'era ancora) intenti a srotolare bandiere e striscioni. Uno spettacolo incredibile.

Un'emozione difficile da raccontare. Lo scambio della stretta di mano e dei gagliardetti, a inizio partita, fu tra i due capitani, non proprio due giocatori normali. Da una parte Giacinto Facchetti, con la sua brillante maglia a larghe righe neroazzurre. Dall'altra, non so se mi spiego, un certo Gianni Rivera con la sua casacca a righe strette rossonere. Tutti e due con la fascia bianca sul braccio sinistro. Mi si potrà dire quello che si vuole, nella vita. Ma io potrò sempre rispondere che io quei due li ho comunque visti giocare, anche se ormai a fine carriera, e questo basta e avanza.

Il gol dell'1-0 di Buriani (da: www.magliarossonera.it)
A farla breve, pronti e via, questo signor Buriani si avvicina all'area dell'Inter, è solo il 4', e all'altezza della lunetta fa partire un tiro che s'insacca a fil di palo. Bordon non può che raccogliere il pallone dentro la rete. Gol? Io e i miei amici ci guardiamo quasi sorpresi: ma è così facile, segnare in Serie A? Uno corre un po', arriva a distanza, alza lo sguardo e tira. Tutto lì.

Ruben Buriani di gol ne segnerà un altro, verso la fine della partita. Quello del definitivo 3 a 1 per il Milan che, purtroppo, non riesco tanto a ricordare. L'ho rivisto, nei filmati d'epoca, ma non me lo ricordo, dal vivo. In mezzo un rigore trasformato da Rivera (non solo l'ho visto giocare, l'ho visto pure segnare!) e un tentativo, vano, di rimonta dei nerazzurri, con gol di Anastasi.

Il nostro lungo viaggio di ritorno fu naturalmente molto festoso.


La mia prima partita vista dal vivo. Un ricordo indimenticabile, grazie anche a quel giocatore biondo, biondissimo, dai capelli quasi bianchi, tanto che qualcuno lo chiamava "Pannocchia".


Per questo oggi dico, molto volentieri: tanti auguri, signor Ruben Buriani!



Tutte le informazioni su Inter-Milan 1-3 del 6 novembre 1977




Il servizio RAI di Beppe Viola sulla partita. Poesia pura.


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