Un grande dubbio assale in questi giorni i tifosi di calcio: guardare o non guardare le partite del Mondiale che si sta svolgendo in Qatar? Non è una questione strettamente italiana, legata al fatto che la nostra Nazionale non si è qualificata per la fase finale e quindi «che gusto c’è a vedere le altre squadre combattere tra loro quando noi non possiamo farlo?».
La faccenda è molto più seria e riguarda le persone di buona parte del mondo che si chiedono se sia etico guardare partite giocate in un Paese che ha costruito gli stadi grazie al lavoro di migliaia di immigrati – soprattutto pakistani, nepalesi, bangladesi e srilankesi – trattati come schiavi, costretti a vivere in condizioni inaccettabili e a lavorare con turni di lavoro folli in ambienti contraddistinti da temperature molto spesso superiori ai 40° C, senza alcuna tutela sanitaria e, pare, anche con il passaporto confiscato dai datori di lavoro per evitare “fughe” di ritorno a casa. Secondo una stima di Amnesty International, per la predisposizione delle strutture utili allo svolgimento di questa edizione dei Mondiali – gli stadi, certo, ma anche un aeroporto, intere linee metropolitane, centinaia di Hotel, strade, ecc. – sarebbero morte sul lavoro qualcosa come 6.500 persone. Un’enormità difficile da dimenticare.
Ma non è tutto. Una forte opposizione a questa kermesse sportiva che viene trasmessa in tutto il mondo è dovuta al fatto che in Qatar c’è poca osservanza dei più normali diritti civili. L’omosessualità maschile (ma non quella femminile), per fare un esempio, nel piccolo sultanato è considerata un reato che può portare anche alla pena di morte. Le donne, dal canto loro, sono sottoposte a un sistema di “tutela maschile” per cui hanno bisogno dell’approvazione di un uomo per fare un sacco di cose del tutto normali come sposarsi, lavorare in posizioni pubbliche, viaggiare, decidere quale scuola possono frequentare o quali cure possono ricevere i propri figli.
E allora, la domanda ricorrente è: «Ha senso guardare questi mondiali?». Forse, nonostante tutto, sì, ha senso.
Perché proprio in occasione di questa manifestazione che viene trasmessa in ogni angolo del mondo si è parlato molto di diritti civili, diritti dei lavoratori, rispetto delle persone, libertà. Fin dai primi giorni molti sono stati i messaggi positivi lanciati da alcuni protagonisti del torneo.
Dai calciatori dell’Iran, che hanno scelto di
non cantare il loro inno in occasione della partita con l’Inghilterra per
protestare contro il regime del loro Paese, a quelli dell’Inghilterra, che
prima della stessa partita si sono messi in ginocchio, come ormai fanno da
tempo, per manifestare la propria opposizione al razzismo. Fino ad arrivare all’immagine che
probabilmente resterà nella memoria storica di tutti – forse alla pari di
quella della squadra che alzerà la coppa nel momento del trionfo finale –,
ovvero la foto dei giocatori tedeschi che, prima di scendere in campo contro il
Giappone, si sono fatti ritrarre tutti con una mano sulla bocca, per protestare
contro la decisione dell’organizzazione dei mondiali di vietare la fascia da
capitano in versione arcobaleno e con la scritta “One love”.
Insomma, questo mondiale sarà ricordato per i molti aspetti negativi di cui abbiamo parlato, ma anche da molti messaggi positivi.
E a chi si chiede se abbia senso assegnare eventi di così grande risonanza a Paesi che non rispettano i più elementari diritti e la libertà dei cittadini, giova ricordare che non sempre tutto va come vorrebbero gli organizzatori.
Basti pensare alle Olimpiadi di Berlino 1936. Doveva essere l’occasione per dimostrare la supremazia della “razza ariana” su tutte le altre e invece ancora oggi quei giochi olimpici sono ricordati per le vittorie di Jesse Owens, un ragazzo americano che con le sue gesta sportive dimostrò al mondo che violenza, potere e soldi poco possono fare quando si trovano di fronte a donne e uomini disposti a lottare contro tutto e contro tutti per difendere la propria e l’altrui libertà.