Mario, il barbiere di via Ripamonti, non c'è più. Nella notte un infarto se l'è portato via, così, all'improvviso.
Mario
non era un semplice parrucchiere. Nel suo negozio anni '70 assolveva come si
deve al suo compito di "barbiere" anche se non si occupava di barbe, ma
solo di capelli. Nel senso che quello spazio ristretto in cui lui
tagliava i capelli era un punto di riferimento per molti, nel quartiere.
Proprio come lo erano i negozi di barbiere di una volta, quelli
affacciati sulle piazze dei paesi di provincia o delle grandi città.
Mario
era un personaggio. Era un personaggio. Con la sua folta criniera nera,
i baffoni e la parlata che rivelavano la sua origine meridionale, aveva
una battuta per tutti, grandi e piccini. I suoi pensieri, a volte
ripetuti due o tre volte, erano sempre arguti, precisi.
«Questo
Paese ha bisogno di riforme!» mi aveva ripetuto l'ultima volta che sono
andato da lui. Ti girava intorno, fissava la testa e poi cominciava a
tagliare. Poi si fermava con le forbici in mano e parlava. Riprendeva a
tagliare e tornava a fermarsi, per parlare. Di tutto: di politica, di
sport, di televisione, di filosofia di vita... Mario sapeva molte cose,
le leggeva sui quotidiani (che non mancavano mai, nel suo negozio) e le
vedeva tutti i giorni anche grazie al suo lavoro, e amava parlarne fissando il
cliente attraverso il grande specchio. E intanto la porta del negozio
si apriva in continuazione: gente che passando di lì buttava dentro il
naso per fare una battuta o anche semplicemente per salutare.
Aveva
deciso di presentarsi alle prossime elezioni di zona, mi aveva detto
giusto una settimana fa. «Vorrei fare qualcosa. Anzi qualcosa l'ho già
fatta, sono riuscito a far cambiare l'illuminazione di questa via, qua
vicino...». Non gliel'ho detto, al momento, ma tornando a casa avevo
pensato che, sì, forse avrei anche potuto votarlo.
Sempre
l'ultima volta mi aveva raccontato che le maestre della scuola
elementare di via Giulio Romano gli avevano chiesto se potevano portare i
bambini a vedere il suo negozio, il suo lavoro. Stavano studiando le
professioni. Mario aveva accettato di buon grado e il suo piccolo spazio
si era riempito di tanti scolaretti curiosi. Lui aveva spiegato che aveva
cominciato a lavorare fin da piccolo, andava a bottega, osservava e
imparava. A quei tempi, aveva detto, bisognava darsi da fare già a
sette/otto anni, per aiutare i genitori. A un certo punto un bambino
aveva chiesto: «Ma la tua baby sitter ti accompagnava fino al negozio?».
Mario rideva, mentre lo raccontava. Baby sitter... e chi mai sapeva che
cos'era?!?
Io l'ho conosciuto in una circostanza
particolare, qualche anno fa. Avevo perso documenti, carta di credito,
soldi. Mi erano usciti dalla tasca dei pantaloni e neanche me n'ero
accorto. Ero in casa e a un certo punto era suonato il citofono. Una
voce squillante aveva detto «Sono Mario, il parrucchiere, hanno trovato dei
documenti per terra, credo siano suoi...». Ero sceso e questo simpatico
signore mi aveva dato documenti, carta di credito e soldi che qualcuno
gli aveva portato in negozio, chiedendo se ne conosceva il titolare. Lui
non mi conosceva, ma si era preso in carico la faccenda e me li aveva
portati a casa. Perché lui era fatto così.
Ora sulla sua
saracinesca abbassata qualcuno ha attaccato, tra gli altri, un cartello con scritto
"Ciao Mario".
Un saluto semplice, per una persona semplice che ci
mancherà.
"Questo è Mario...": leggi il ricordo di Mario dello scrittore Giuseppe Genna, pubblicato sul suo blog il 5 luglio 2015.
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