domenica 28 dicembre 2014

Quando a Milano c'è stata la guerra

Anche a Milano c'è stata la guerra. Quando giriamo per la città, per diletto o per lavoro, ci sembra che sia stata sempre così, come la vediamo oggi. Abbiamo la sensazione di esserne i padroni da sempre, ci sembra di conoscerla a fondo in ogni suo aspetto e segreto.
Spesso ci sfugge il fatto che ogni centimetro di terreno della nostra città – che, dicono gli esperti, ha una storia di almeno due millenni – è stato calpestato da milioni di persone, che sono passate o hanno vissuto da queste parti in epoche più o meno lontane.
Senza andare troppo lontani, non ci ricordiamo che questa città, ad esempio, non più di settant'anni fa è stata teatro di guerra e ha subito bombardamenti che ne hanno cambiato in modo profondo la fisionomia.

Abbiamo chiesto alla signorina Liliana, arzilla e simpatica signora ottantenne milanese che vive nel nostro palazzo, di aiutarci a capire come si viveva nella Milano degli anni a ridosso della Seconda Guerra Mondiale. Ecco il suo racconto.

Lo scoppio della guerra

«Sono nata nel 1935 e quindi ho avuto a che fare con la guerra da piccolissima. Il mio primo ricordo sulla guerra è nel '40, quando c'erano le prime radio e c'era quella signora che abitava al quarto piano là nell'angolo e aveva acceso la radio ad alto volume e allora erano tutti lì sulla ringhiera ad ascoltare. E lei a dire: «Forse scoppia la guerra». Allora alzava di più e tutti lì ad ascoltare perché mica tutti avevano la radio. E dopo la guerra è proprio scoppiata.

In cantina avevamo il rifugio anti bombardamento aereo, era aperto non solo per chi abitava nel palazzo, ma era pubblico, le persone che passavano per strada potevano scendere e venire giù. Vicino al portone c'era la freccia, che serviva per le persone che passavano per dire che qui c'era un rifugio. C'era una persona che non mi ricordo come la chiamavano, la guardia... che abitava qui di fianco a me. Quello lì, quando c'era l'allarme passava per tutti i piani, picchiava ai portoncini e diceva: «Bisogna andare in cantina, bisogna scendere in cantina!». C'era una nostra vicina che faceva la camiciaia che diceva «io se devo andare in cantina... che dopo c'ho quattro piani che mi vengono di sopra... invece qui ne ho solo due...». Lei non voleva mai scendere e faceva sempre discussioni con quello.

Io facevo la seconda elementare in via Giulio Romano, spesso suonava l'allarme. Quando suonava l'allarme che era un po' leggera andavamo in cantina a fare la lezione della scuola. Un giorno, siccome al momento di dover uscire c'era il coprifuoco e nessuno poteva rimanere in strada – ogni giorno c'era il coprifuoco alle 10.30/11 di mattina – i genitori sono venuti a prendere i bambini, siam venuti a casa, mi ricordo che io e la mia mamma eravamo in camera e guardavamo dalle persiane chiuse, da cui si vedeva solo la strada, e abbiamo visto passare soldati con il fucile a tracolla che controllavano e se c'era qualcuno che apriva la finestra mitragliavano, pampampam! C'era il coprifuoco, non ci doveva essere più nessuno in strada».

Sfollati dagli zii, a Paullo

«Quando c'è stata la guerra la mia famiglia è sfollata in tutta fretta. Ero piccola, ma mi ricordo i bombardamenti e anche il fuoco che restava dopo. Non era il caso di restare in città. Siamo andati da nostri parenti, vicino a Paullo, ma mio padre è restato a Milano per lavorare, veniva da noi la domenica, in bicicletta. Al lunedì mattina siccome doveva essere a Milano per le 8 al lavoro, si alzava alle 5 e piano piano veniva qui. Un giorno era in ritardo e si è attaccato a un camion. Non so com'è stata, ha sbandato quello là del camion, ha sbandato la bicicletta... insomma, è andato a finire giù nel fosso. Per fortuna che nel fosso c'era poca acqua, ma si è rotto il setto nasale, ha dovuto andare a farsi medicare. Noi l'abbiamo saputo solo la sera del sabato dopo, quando è arrivato tutto incerottato e mia madre gli ha chiesto: «Carlin, ma s'è sucéss?». Non ci aveva detto niente per non farci preoccupare.

Portammo a Paullo con noi tutti i mobili, eccezion fatta per la cucina economica e una credenza dove c'erano le pentole e i piatti, che dovevano servire a mio padre. Ma lui quel mobile lo usava per tutto: da buffet, da ripostiglio, da tavolo per mangiare. Aveva anche un divano, vicino al muro della cucina, che di sera si trasformava in un letto, ma mica come i divani-letto di oggi, eh...

L'altra stanza della casa, invece, era tutta vuota. Ma una notte alle 3 vennero a svegliare mio padre: «Carlin, Carlin brucia la nostra casa!». Era mio zio, che abitava lì vicino. Tutto il quartiere si diede da fare, ma la casa bruciò davvero e quindi la famiglia del fratello di mio padre si trasferì da lui, con i pochi mobili e oggetti che avevano potuto salvare dall'incendio. La camera diventò dunque loro, e fu difficile mandarli via, quando finì la guerra e io e mia madre tornammo a Milano. Noi dovevamo riportare a casa la nostra mobilia, ma lo spazio era occupato da zii e cugini, e loro non se ne andavano. Per fortuna mio padre seppe che si era liberato un appartamento qui vicino e i nostri ospiti finalmente si trasferirono, ma poi per un bel po' di tempo mio cugino non ci ha più salutati...».

Il ritorno a casa con le galline

«Quando siamo tornati a casa, a Paullo avevamo quattro-cinque galline. Allora una o due le avevamo ammazzate e mangiate, ma le altre le abbiamo portate a casa perché una volta non è che si poteva mangiare quello che si voleva, si teneva da conto quello che si aveva. Del pollo si godeva tutto, non si buttava niente, forse solo le unghie e il becco non servivano a niente. Le penne brutte si scartavano, ma con le altre si facevano i cuscini, si prendeva il sangue e si faceva il tortino, si lasciava lì a indurire con la cipolla poi lo si faceva friggere. A me non è che piaceva tanto... Una gallina, da sfollati, mia mamma l'ha ammazzata quando ho fatto la cresima, nel '44. Ci sembrava di essere dei principi, a mangiare pollo, mica come oggi che è una cosa normale. Il sapore di una volta era una cosa particolare, non come quello di oggi. Io che non ho più i denti vado bene anche con i polli di oggi, ma una volta mi piacevano molto di più quelli naturali, nostrani.

Insomma, quando siamo tornati in città dovevamo riportare anche queste galline e non sapevamo come fare. Allora quello che ci ha fatto il trasloco ha detto «Ci penso io!», ha preso il buffet di mia madre, che aveva un sotto e un sopra, e l'ha messo in fondo al carro con le portine aperte in fuori. Dentro ha messo del giornale e ha messo le galline, Ha chiuso le porticine con un po' di corda, lasciandole un po' aperte perché le galline respirassero, e via!
Passiamo il dazio e quello là lo conoscevano perché faceva i trasporti avanti e indietro. «Dazio!» «No, no sta tranquill, 'sti pori milanés chi, g'ha mia niente. Adess su dré a purtai a ca' sua. Gh'è nient, gh'è nient de cuntrulà» «Va bene». Allora via, il carro sta per avviarsi, la gallina non ha mica fatto l'uovo?!? Coccococcodé... Quello là non sapeva più cosa ne aveva in borsa: «Come, te m'è dit che gh'è nient... e la galina?» «Oh Madona, te ste li a guardà per 'na galina che l'à fa il l'euf...». E via di corsa. Me la ricorderò sempre, quella volta lì».

Quella volta che esplose la bomba

«Qualche bomba nella nostra zona è caduta. Lì dove c'è la scuola, dove ci sono adesso le suore, lì c'era un piccolo stabilimento che arrivava fino al numero 21. E poi c'erano le bancarelle del mercato, attaccate alla chiesa. A Milano fino a  poco tempo fa c'erano ancora case crollate per bombardamenti e lasciate lì così. Come in via della Palla, vicino a via Torino, ma anche in piazza Fontana... dove adesso hanno costruito un albergo. Mi ricordo che quando eravamo tornati a Milano andavamo per la città con mia madre e vedevamo scheletri di case che facevano paura, a vederle.

Un giorno, era appena finita la guerra, stavo aspettando una mia cugina che arrivava da Paullo con la corriera. Quando l'ho vista scendere nella piazza, io tutta contenta stavo per correrle incontro quando tutto d'un tratto ho sentito un rumore fortissimo e ho visto qualcosa che cadeva in mezzo alla strada. Mi sono avvicinata per vedere che cos'era e ho sentito che scottava tantissimo. Era un pezzo di una bomba che i ragazzi avevano trovato in un campo e avevano portato in piazza per giocare alla guerra... Non pensavano che potesse scoppiare, ma c'era il sole e si era scaldata e poi era scoppiata. Nessuno dei bambini che stavano in giro si è fatto niente, come per miracolo, ma sedici persone che stavano lì hanno preso le schegge. Tra queste una signora che era fuori da un'osteria, che lucidava le pentole. Due o tre gravi, uno con una scheggia nella coscia, uno nella spalla, entravano da una parte e uscivano dall'altra... E io ero andata a prendere quel pezzo lì, pensavo fosse una tegola caduta dal tetto!

Abbiamo provato tante cose, in quegli anni lì, e io me le ricordo ancora tutte, mi sembra di averle davanti così come le racconto...».


I racconti della signorina Liliana, vedi anche "E quella casetta di ringhiera diventò sempre più piccola".


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giovedì 20 novembre 2014

Qual è il segreto del successo
dei negozi cinesi di Milano?

I negozianti cinesi sono migliori di quelli italiani? Nessuno può dire questo, né è il caso di generalizzare: ci sono commercianti capaci e commercianti meno capaci, indipendentemente dal fatto che siano italiani, cinesi, indiani o di qualsiasi altro Paese del mondo.

Quello che racconto nelle righe che seguono, dunque, non vuole essere un esempio del fatto che i cinesi siano meglio di noi italiani. E' semplicemente uno spaccato di vita milanese tipica del nostro tempo, raccontato per come è avvenuto.

Il contesto: accidenti, lo smartphone non si accende più!

Il peggiore dei drammi che ti possa accadere. Ti svegli una mattina e scopri che il tasto di accensione del tuo smartphone non funziona. Lo schiacci, lo rischiacci, lo tieni premuto per lunghi secondi, metti il telefonino a testa in giù, lo lasci un momento tranquillo e ci riprovi... niente, quell'aggeggio infernale non ne vuole sapere di accendersi.

Ma tu non puoi farne a meno, per te questo è soprattutto uno strumento di lavoro. Domani, poi, sarai fuori ufficio tutto il giorno e hai bisogno di averlo con te: le telefonate, le e-mail, la rubrica, gli sms e i messaggi su WhatsApp. Impossibile farne senza.

Esci di casa preoccupato e ti dirigi con decisione verso quel negozietto sulla strada per l'ufficio che sull'insegna ha scritto qualcosa che richiama le riparazioni elettroniche.

Il primo tentativo: il negozio italiano

Entri nel negozio e hai già la vaga sensazione che qui sarà difficile riescano a risolvere il tuo problema. Sugli scaffali ci sono televisori antidiluviani, quasi tutti con il tubo catodico, accanto a videoregistratori e lettori dvd impolverati, la luce è bassa.

Dietro al bancone non c'è nessuno. Provi ad abbozzare un timido "C'è qualcuno?" e senti un grugnito che arriva dal retro bottega. Compare un signore dall'aria un po' trasandata, con una smorfia sulla faccia.

«Buongiorno. C'è il mio smartphone che non si accende più. Premo il tasto di accensione ma niente...»

«Humpff...» (il signore guarda a distanza il malefico strumento, senza dire niente)

«...non so, non mi è caduto né niente, può essere rotto il meccanismo di accensione?»

«Mmmm... forse è il tasto, bisogna aprirlo per capire...» (prende in mano l'aggeggio, da me messogli sotto il naso con insistenza, con l'aria di uno che si fida poco)

«Sì, immagino... Come possiamo fare, lo può aprire subito... glielo lascio... torno più tardi...?»

«Mmmm... adesso non ho tempo, va aperto, bisogna vedere se è rotto il tasto o se c'è altro... ma adesso non posso, ho da fare, se me lo lascia provo a vedere dopo...» (fa per ridarmi l'iPhone)

«Sì, ma riesce a sistemarmelo per questa sera? Domani ne ho bisogno...»

«Mmmmpf... non posso dirlo... dipende da cosa c'è di rotto... come faccio a saperlo... mi chiami nel pomeriggio che vediamo, se l'ho già aperto le dico... comunque poi dovrò ordinare il pezzo, ci vorrà qualche giorno» (si rigira il telefono tra le mani, come se scottasse)

«...e il prezzo? ha idea di quanto mi potrebbe costare?»

«Ma no, mmmmpf, se non so che cosa c'è... fino a che non lo apro come faccio a saperlo... mi chiama nel pomeriggio che glielo dico». (questa volta me lo mette sotto il naso lui, come per dire: «te lo riprendi o no, 'sto cavolo di telefono»).

«Ok, ma se fosse il tasto o il meccanismo di accensione, quanto potrebbe costare? Giusto per avere un'idea...»

«Maaaaa... è un po' complicato perché va aperto, poi bisogna vedere che cosa è rotto, poi il pezzo, la manodopera, richiuderlo... sarà almeno 60 euro, credo, dipende da cosa c'è di rotto...». (riesce a ridarmelo, finalmente, e sul suo volto si riaccende la smorfia iniziale).

A questo punto lo sconforto mi assale.

«Va bene, grazie, ci penso... al limite passo dopo, grazie». E me ne esco quasi frastornato.


Il secondo tentativo: il negozio cinese

La depressione è al massimo, da questo non ci cavo un ragno dal buco, penso. Forse è il caso di andare dai cinesi, magari loro riescono a sistemarlo velocemente e a minor prezzo.

Entro nel negozio dove di solito compro gli stickers per i miei figli. C'è di tutto, dall'abbigliamento alle pentole, dagli attrezzi fai-da-te alle maschere subacquee. Qualche anno fa a mia moglie hanno sostituito lo schermo rotto del suo vecchio cellulare, forse qui trovo la soluzione al mio problema.

Dietro la cassa la piccola e anziana signora risponde con entusiasmo alla mia richiesta: «Qui di flonte, nuovo negozio!» e mi indica un luminoso store telefonico dall'altra parte della strada con doppia insegna, italiana e cinese.

Attraverso, entro con trasporto e anche con un velato ottimismo. Passo tra le vetrinette retroilluminate con gli ultimi modelli di telefoni e accessori vari e mi dirigo al bancone, dietro al quale c'è una ragazza cinese molto giovane, all'apparenza, che mi saluta sorridendo.

«Buongiorno, dovrei a-g-g-i-u-s-t-a-r-e il mio smartphone. Non si a-c-c-e-n-d-e: schiaccio questo tasto ma non succede niente, rimane s-p-e-n-t-o...». (parlo lentamente, scandendo le parole che mi sembrano più significative e accompagnando con gesti eloquenti la mia richiesta, per farmi capire)

«Buongiorno, se può attendere solo un attimo le chiamo il mio collega» (la ragazza scompare dietro a una porta e riappare dopo pochi secondi insieme al suo collega, molto giovane anche lui, che subito mi dice)

«Buongiolno, non si accende smaltphone? Folse lotto meccanismo!». (dice con un sorriso a trentadue denti e lo sguardo sveglio e intanto prende il telefono e se lo rigira tra le mani con fare sicuro. Prova ad accendere e constata che non funziona)

«Sì, infatti, non so com'è successo, perché non mi è caduto. Crede si possa aggiustare?» (ma il ragazzo cinese sembra non ascoltarmi, prende il telefono e si dirige verso il retro)

«Tu aspetta un minuto, io aplo e dico cosa lotto» (e ritorna lì da dov'è venuto)

Due minuti, non più di due minuti ed ecco che ricompare, mentre io mi sto guardando intorno, alla scoperta di nuovi modelli di tablet.

«Sì, è lotto meccanismo accensione, vedi? Tu deve cambiallo, tu vuole?»

«Direi di sì, ma ho un problema: ho bisogno del cellulare per questa sera, immagino dobbiate ordinare il pezzo, come possiamo fare?

«Questa sela? Nessun ploblema, tu passa tla due ole e telefono è plonto!»

«Tra due ore, sarebbe fantastico» (entusiasmo ritrovato, ma rimane un solo dubbio) «e... quanto mi verrebbe a costare?».

«Tlenta eulo, tu vuole fattula?».


venerdì 17 ottobre 2014

A 200 giorni da Expo Milano 2015, ecco come sarà il padiglione tedesco


Come sarà l'area espositiva di Expo Milano 2015
Mancano ormai meno di 200 giorni all'inizio di Expo 2015 Milano.

Quando si percorre l'autostrada che costeggia il sito che ospiterà per sei mesi, da inizio maggio a fine ottobre 2015, la grande manifestazione internazionale, la prima cosa che viene da chiedersi è: «Ce la farano?». La zona si presenta come un grande cantiere, dove c'è fermento ma anche dove di opere già ultimate non se ne vede l'ombra.

Siamo ormai abituati a "miracoli all'italiana", per cui tutti siamo portati a pensare che, sì, alla fine tutto andrà per il meglio. Siamo anche consapevoli che l'accelerazione che dovrà essere imposta ai lavori in questi ultimi mesi comporterà un surplus di spesa. La rassegnazione degli italiani davanti a cose di questo tipo è pari solo alla rabbia che accompagna ogni inchiesta aperta con conseguente arresto di manager per tangenti, infiltrazioni della criminalità organizzata, ecc. ecc.

Album di foto Paris 1900

Milano 2015, Parigi 1900

Pensiamo ad altro e proseguiamo il nostro parrallelo (la prima puntata è stata dedicata al confronto tra i Padiglioni USA) tra l'Esposizione Universale di Parigi  1900 e Expo Milano 2015. Un paragone di stili, culture, architetture diverse, a 115 anni di distanza.

 Dal 14 aprile al 10 novembre 1900, Parigi ospitò un'esposizione universale storica, quella che vedeva affacciarsi il XX secolo, uno dei più intensi e contraddittori dell'intera storia dell'umanità.

L'area espositiva di Parigi 1900
L'Europa era al centro del mondo, in quegli anni, e il futuro prometteva sviluppi e speranze che nessuno aveva mai nemmeno osato di sognare nei decenni precedenti. Un ottimismo e una carica emotiva che troveranno purtroppo un freno improvviso nella Prima Guerra Mondiale.

L'esposizione di Parigi, dicono le cronache del tempo, ebbe più di 50 milioni di visitatori, provenienti da ogni angolo del pianeta. Un record resistito per decenni, eguagliato solo da Osaka 1970.

Rue des Nations a Parigi 1900
Tra le nazioni più potenti presenti a Parigi c'era di sicuro l'Impero Germanico, e questo è uno dei punti che accomunano le due manifestazioni.

Potente era a inizio 900 e potente lo è ancor oggi, la Germania, da sempre capace di influire, nel bene e nel male, sulle sorti d'Europa se non del mondo intero.

Il padiglione tedesco di Parigi 1900

Il padiglione tedesco
a Parigi 1900

Il padiglione tedesco dell'Esposizione Universale di Parigi 1900 era un elegante e leggiadro castello di stile bavarese posto, come quello di tutti i principali Paesi dell'epoca, lungo la Senna, sulla Rue des Nations.

La guglia della sua torre dell'orologio era una delle più alte dell'intera esposizione e poteva essere scorta da grande distanza.

I contrasti cromatici tipici dell'architettura tedesca di fine '800 rendevano questo padiglione tra i più apprezzati dell'intera area espositiva.

Il padiglione tedesco di Expo Milano 2015

Il padiglione tedesco di Expo Milano 2015

Il padiglione della Germania a Expo Milano 2015 sarà ispirato al tema "Campi di idee". Ovviamente la struttura non ha niente a che vedere, dal punto di vista architettonico, con il leggiadro castello bavarese del 1900.

Il padiglione tedesco di Expo Milano 2015
Detto che quello tedesco sarà lo spazio espositivo più esteso di Expo 2015, anche da queste cose si vede la potenza di una nazione, sul sito ufficiale di Expo 2015, là dove si parla del padiglione tedesco si dice che questo è ispirato ai paesaggi fertili e floridi della Germania.

La struttura, si aggiunge,  "consiste in un paesaggio dolcemente in pendenza, in cui sono richiamati i naturali declivi della campagna tedesca, con una superficie liberamente accessibile e un’esposizione tematica all’interno".

Il padiglione tedesco di Expo Milano 2015

Design moderno, materiali tradizionali

Il design è – basta uno sguardo per capirlo – ultramoderno, ma "si fonde con i materiali tradizionali, l’uso razionale degli spazi e delle risorse, la tecnologia e il design intelligenti. I legni locali sono il materiale principale e richiamano l’uso consapevole delle risorse rinnovabili".

Il padiglione tedesco di Expo Milano 2015
Il percorso dei visitatori all'interno del padiglione sarà supportato da un dispositivo interattivo attraverso cui sarà possibile scoprire "nuovi particolari, in modo intelligente e interattivo mentre si cammina tra i percorsi riguardanti la terra, l’acqua, il clima e la biodiversità".

Il tutto con uno sguardo alla tradizione, al presente, ma soprattutto al futuro, con una particolare attenzione dedicata a quello che potrà essere fatto per salvaguardare l'ambiente e il patrimonio agroalimentare mondiale.

Guarda anche il confronto tra i padiglioni degli Stati Uniti d'America e il confronto tra i padiglioni di Gran Bretagna, Austria, Ungheria e Russia.


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martedì 23 settembre 2014

I murales di piazza Cardinal Ferrari,
un museo moderno a cielo aperto


Questo post, già lo so, farà arrabbiare il mio amico Stefano (anzi, non gli dico che l'ho scritto, così vediamo se legge davvero il mio blog, e con quale frequenza).

«Che palle con questi muri! Basta, non puoi tediarci con queste tue menate dei muri sporchi, una volta che l'hai detto va bene, ma poi basta, non esagerare».

Alda Merini
E io a spiegargli che, secondo me, non si parla mai abbastanza di decoro cittadino, che la mia vorrebbe essere una piccola battaglia per sensibilizzare i milanesi a mantenere la città più pulita, che mi piacerebbe che tutti facessero come stanno già facendo alcuni comitati benemeriti: non lamentarsi sempre ma rimboccarsi le maniche...

Ma lui niente, spietato (mi sembra di sentirlo): «Che palle che sei, con 'sti muri...».

Giorgio Gaber

Torniamo a parlare di muri

Lo faccio arrabbiare, dunque, perché torno a parlare di muri, anzi di un muro, nello specifico, quello che si affaccia sull'elegante piazza Cardinal Ferrari e, girando l'angolo, prosegue su via Giuseppe Mercalli.





Claudio Abbado
In questi giorni questa piazza sta vivendo un cambiamento epocale grazie all'iniziativa "MilanoWallArt" messa in atto dall'Istituto Gaetano Pini (che qui si affaccia) insieme ad alcuni artisti che hanno deciso di prestare la loro opera "per rendere Milano una città più ricca e curiosa".



Enzo Jannacci
Un progetto che ha coinvolto anche l'Archivio Storico Diocesano e il Convento della Visitazione e che ha ricevuto il sostegno di Fondazione Stelline (giusto citare chi si "muove" per rendere sempre più bella e vivibile la nostra città).

 

 

 

Mariangela Melato

I milanesi illustri
di piazza Cardinal Ferrari

E sembra che ci siano riusciti. Sul lungo muro del Convento della Visitazione che dà su Cardinal Ferrari campeggiano ora i ritratti di molti milanesi illustri.
Artisti, cantanti, scrittori, attori, registi, poeti, architetti, stilisti, direttori d'orchestra, pedagogisti.

Luchino Visconti
Ci sono Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Franca Rame, Claudio Abbado, Mariangela Melato, Luchino Visconti, Alda Merini, Giò Ponti, Gianfranco Ferrè, Elda Mazzocchi Scarzella, Marco Ferreri, Carlo Emilio Gadda e Gian Maria Volontè.




Franca Rame
Ritratti colorati, intensi, moderni, che possono essere apprezzati man mano che ci si allontana dal muro.
La tecnica usata è particolare: stando vicini non si ha percezione del soggetto nel suo insieme, ma se lo si inquadra nello schermo del telefonino o ci si allontana dal muro l'immagine risulta chiara e il personaggio sembra vivere nella sua espressione più tipica.

Gianfranco Ferrè

Da pisciatoio a opera d'arte

Non è il primo esperimento su larga scala, quello di Cardinal Ferrari. Basti vedere la storia di Milano raccontatata attraverso i volti dei suoi personaggi del passato più illustri, dipinta su un muro posto nelle vicinanze delle Colonne di San Lorenzo.


Marco Ferreri
Quel muro, ci dicono i residenti, era utilizzato dagli avventori dei numerosi locali della zona come pisciatoio. Ora, con i murales, sembra ci sia più rispetto, i bevitori di birra a tradimento sembrano avere deciso di tenersela (o forse di andare a farla da un'altra parte, speriamo di no...).


 

Giò Ponti

Obiettivo raggiunto

Potrà non piacere avere enormi quadri sulle vie cittadine, probabilmente più di uno storcerà il naso. «Stanno trasformando la città in un enorme centro sociale», diranno i soliti agguerriti oppositori, quelli che qualsiasi cosa accada hanno una sola verità: «a Milano è tutto uno schifo, non funziona niente e va sempre peggio».

Carlo Emilio Gadda
Ma forse questa volta le loro dichiarazioni non troveranno terreno fertile: sembra proprio che, stando ai commenti di chi in queste porzioni di Milano ci vive, ci lavora o anche solo ci transita, l'obiettivo di rendere Milano più ricca e curiosa sia stato raggiunto.



Elda Mazzocchi Scarzella
Gian Maria Volontè










E per chi avesse dei dubbi, del resto, niente di meglio che andare in piazza Cardinal Ferrari a verificare di persona.


Orticanoodles, Pao e Ivan Tresoldi


A pochi metri dai ritratti dipinti sul muro da Orticanoodles, potrà ammirare anche altre opere.
Quella di Pao (un "pattern astratto" sui muri esterni dell'Ospedale Gaetano Pini, a destra).


E quella di Ivan Tresoldi (un "intervento calligrafico" sul muro dell'Archivio Diocesano in via San Calimero, a sinistra), anche loro grandi protagonisti di questo virtuoso progetto.



Il muro di piazza Cardinal Ferrari, prima e dopo


Prima
Dopo












 

Quali personaggi avresti voluto vedere ritratto?

Tra questi personaggi, uomini e donne che hanno cantato (in tutti i sensi) o reso grande la Milano di questi ultimi decenni, chi avreste voluto o vorreste vedere ritratto in futuro?

Tra le persone ancora in vita ce ne sono, a parere mio, almeno tre che meriteranno, tra molti molti molti anni, uno spazio tutto loro. Due sono cantanti (un uomo e una donna), l'altro non abita molto lontano da qui, non vi sto nemmeno a dire che cosa faccia, definirlo attraverso una singola professione sarebbe riduttivo.

Tra le persone scomparse mi permetto invece di fare un nome: Beppe Viola, giornalista e poeta, innamorato vero di questa fantastica città. Che bello sarebbe vedere il suo faccione su questo muro.

E voi? Chi inserireste?



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mercoledì 27 agosto 2014

Tentativo di truffa estiva, vanificato da esperto 80enne milanese

Mio zio Luigi ha poco più di 80 anni. Milanese purosangue, non si è mai sposato e vive da solo da quando è morto mio nonno, quindi dai primi anni 80.

Mi sorprende sempre come la vita di mio zio Luigi sia ben organizzata. La sua libertà da vincoli famigliari stretti gli ha sempre consentito di fare le cose che più gli piacciono nel tempo a disposizione, aumentato a dismisura da quando è andato in pensione. Studia lingue, va in palestra, va a teatro, gioca a bridge, organizza viaggi con gli amici. Capodanno e Ferragosto li passa sul lago, Natale e Pasqua in montagna. Al mare invece non ci va più da qualche anno, dice che lo stanca troppo.

Insomma, la vita di mio zio Luigi è davvero una vita come si deve, serena e tranquilla.

Quella donna dall'aspetto gentile

Ieri mattina mio zio Luigi stava andando a fare la spesa nel negozio sotto casa. Tra il portone d'entrata del suo palazzo e quello del supermercato, lungo il marciapiede, è stato fermato da una giovane signora, vestita bene e dai modi gentili.

«Buongiorno – ha detto questa signora a mio zio Luigi –, mi scusi se la disturbo, ma sono la vicedirettrice della filiale della sua banca. La disturbo perché il direttore avrebbe bisogno di comunicarle una cosa importante in relazione al suo conto corrente».

Lo zio Luigi non è uno sprovveduto, tutt'altro. Ottanta e più anni vissuti a Milano, con almeno 10 anni di fascismo, la guerra con lo sfollamento a Monza, il dopoguerra con la ricostruzione, il '68, le bande criminali degli anni 70, il terrorismo, gli anni della Milano da bere e del craxismo, l'inquinamento, il traffico, il nuovo secolo e la crisi economica di questi ultimi anni l'hanno reso capace di affrontare qualsiasi intoppo si presenti sul suo cammino.

Ma forse per l'aspetto rassicurante della signora, forse per il suo fare davvero gentile, si è inizialmente fidato della sua interlocutrice e le ha chiesto se si trattava proprio della sua banca, citandone in modo avventato il nome.

«Certo – ha risposto con prontezza la solerte sedicente dirigente bancaria –, se lei è d'accordo chiamo il direttore al telefono e lo faccio venire qui, così potete salire in casa e parlare del problema che la riguarda», ha detto cominciando a digitare i numeri sul telefonino apparso improvvisamente tra le sue mani.

E' bastato un momento di incertezza per risvegliare la prontezza di riflessi dello zio Luigi. Mentre ancora la donna aspettava di parlare con il fantomatico direttore, il milanese tutto d'un pezzo se n'è uscito con un improvviso: «Mi scusi, ma vado di fretta, ne parliamo in un altro momento», frase accompagnata dal proprio allontanamento repentino, che ha lasciato la donna da sola in mezzo al marciapiede, impossibilitata a mettere in campo la benché minima azione di replica (visto che il marciapiede, ha raccontato lo zio Luigi, era pieno di persone che andavano e venivano).

Bravo zio Luigi!!! (che nel pomeriggio è andato nella filiale della sua banca a denunciare il fatto. «Il nostro direttore – hanno sottolineato gli impiegati bancari, quelli veri – tra l'altro è anche in ferie»).

Il tentativo di truffa nei pressi di piazza Napoli

Per essere precisi, i fatti  qui raccontati, del tutto reali, si sono svolti a Milano, in zona piazza Napoli/piazza Bolivar (ma il particolare del luogo è probabilmente insignificante, dal momento che truffatori come questi, veri sciacalli urbani, cambiano continuamente zona per evitare di essere individuati, magari anche riconosciuti dalle loro povere vittime).

La "gentile" signora in oggetto, secondo la descrizione dello zio Luigi, ha i capelli scuri, è vestita in modo sportivo non è molto alta e ha un'età apparente di circa 40 anni. Se notate un personaggio del genere che si aggira con fare guardingo sui marciapiedi statene alla larga, soprattutto se vi si rivolge con proposte strane. A nessun direttore di banca può venire in mente di fermare un proprio cliente per strada per fissare un appuntamento.

Certo, è difficile che persone ultra 80enni leggano blog simili a questo, a meno che non siano scritti dai loro nipoti (proprio come fa regolarmente mio zio Luigi, che sarà orgogliosissimo di essere diventato protagonista di un post, o come diavolo si chiamano quei "temini" scritti su internet...).

Perciò figli, nipoti e parenti vari (che invece i blog li leggete), sta a voi ricordare in continuazione ai vostri cari che un gentile ma categorico «non ho tempo, mi scusi» può servire a uscire da una situazione poco rassicurante e, soprattutto, può essere più che sufficiente per continuare a vivere una vita come si deve, serena e tranquilla.


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giovedì 17 luglio 2014

Il padiglione USA di Expo 1900. Cioè, scusate, di Expo Milano 2015



Ieri è stata posta la prima pietra del futuro padiglione degli Stati Uniti d'America a Expo Milano 2015. C'erano tutti, all'inaugurazione dei lavori, persino il segretario di Stato americano John Kerry (anche se solo in collegamento da Washington).

Il padiglione è stato pensato per essere "un grande granaio di struttura leggera e accogliente, che promuove le peculiarità e le eccellenze americane", come sottolineato nella pagina dedicata del sito ufficiale di Expo 2015.

Il sito prosegue nella descrizione del padiglione:
«Un granaio che si sviluppa su due piani, con un terrazzo panoramico sul tetto, un caffè, un auditorium e un cortile interno. Alle pareti vi sono schermi video e giardini verticali fino al tetto, con piante provenienti dai 50 stati americani.
Animano il padiglione punti di ristoro, eventi, attività dedicate alla sostenibilità ambientale e alimentare insieme all’esposizione dei tanti prodotti enogastronomici statunitensi da scoprire percorrendo il percorso “dal campo alla tavola”.

L'exposition Universelle
di Parigi del 1900

Questo è il futuro. E ora uno sguardo al passato.

In solaio abbiamo trovato una delle pubblicazioni ufficiali dell'Exposition Universelle de Paris del 1900 (la prima pagina riporta questa dicitura: "En vente chez H.C Wolf Editeur - 110 Boulevard Saint-Germain PARIS). 

Si tratta di un leggiadro ed elegante album fotografico su cui sono riprodotti i migliori panorami della capitale francese, ospitante un'edizione speciale dell'Esposizione Universale, quella dell'inizio del XX secolo (e scusate se è poco).

Sullo sfondo una sempre presente Tour Eiffel, mai peraltro considerata degna di una foto solitaria, men che meno di un'indicazione didascalica, giusto per sottolinearne la presenza. Il che fa pensare che nel 1900 si era ancora nella fase in cui quello che sarebbe poi diventato uno dei simboli più amati e conosciuti di Parigi non era ancora sufficientemente apprezzato né dai parigini né da chi transitava nella capitale francese per i più vari motivi.

Il Padiglione USA, in Rue de Nations

Al di là di queste considerazioni, tra le grandi foto, a tutta pagina, ce ne sono un paio che riguardano il padiglione degli Stati Uniti d'America, naturalmente uno dei più sontuosi dell'intera Esposizione parigina. Richiama chiaramente la struttura del Campidoglio di Washington, la sede del Congresso degli Stati Uniti. Anche lui è posizionato dalle parti del Trocadero, sulla sponda opposta a quella della Tour Eiffel, e affacciato, come molti altri (i principali), sulla Senna, lungo la Rue de Nations.

Bello fare il paragone tra i due padiglioni, edificati a 115 anni di distanza l'uno dall'altro.

Il padiglione USA (palazzo bianco) all'Exposition Universelle di Paris 1900

La facciata del padiglione USA a Paris 1900

Il padiglione USA di Expo Milano 2015


Expo Paris 1900 - Expo Milano 2015, guarda anche il paragone dedicato ai padiglioni della Germania e quello dedicato ai padiglioni di Gran Bretagna, Austria, Ungheria, e Russia.


lunedì 9 giugno 2014

Le mamme milanesi e il loro presunto diritto di non fare la coda

La scuola è finita, per le mamme milanesi inizia la battaglia
Mattinata cruciale per molte mamme milanesi. Finita la scuola, da oggi comincia la lunga e faticosa organizzazione dell'estate, con bambini che devono essere giocoforza sbalestrati tra un corso estivo e l'altro, campi dell'oratorio, corsi di cavallo, laboratori artistici, ritiri sportivi in amene località alpine e appenniniche, ecc. ecc.

Oggi, lunedì 9 giugno è il giorno di inizio di tutto questo. Questa mattina le mamme stracariche di adrenalina hanno vestito i loro piccoli, e con la consueta energia – quella utilizzata per portarli a scuola negli altri nove mesi dell'anno – si sono recate nei luoghi di raccolta delle varie attività, pronte a battagliare come solo loro sanno fare.

Abbiamo avuto la fortuna di seguirle direttamente in una situazione standard, quella dell'inizio di un campus di un oratorio posto all'interno della cerchia delle mura. Lì, in fila per la registrazione, molte mamme cresciute forse anche in famiglie normali, serie professioniste, irreprensibili fustigatrici di costumi (di preferenza altrui), riescono a dare il meglio di sé, si trasformano in esseri prepotenti e maleducati, proprio come fanno alcuni rappresentanti del sesso maschile quando vanno a vedere una partita di calcio.

Per tante mamme milanesi le code per le attività dei loro figli sono una sorta di "stadio", dove tutto è concesso e le buone maniere diventano solo un lontano ricordo.

La fila è solo una fastidiosa formalità

La fila, per alcune mamme milanesi, è poco più di una formalità. Arrivano come furie, con i loro marmocchi, e ti si piazzano davanti come se niente fosse. Tu fai finta di niente, pensi che alla fine si faranno da parte dicendo «c'erano prima loro», ma sei un ingenuo. Il loro primo obiettivo della giornata, anzi della settimana, anzi forse della vita è arrivare prima degli altri, poco importa se questi sono lì da molto tempo prima.

Si può dire che queste mamme ritengano che il passare davanti agli altri – soprattutto se questi altri sono uomini, considerati in qualche modo invasori indesiderati di territori che dovrebbero essere riservati alle sole mamme – sia, in fondo in fondo, un loro diritto. E così non fanno altro che cercare di farlo rispettare, questo diritto.

Spingono, abbozzano fastidiosi taglia fuori con i gomiti, chiacchierano con l'amica avanti di qualche metro e siccome non riescono a sentirla bene si avvicinano a lei, rubando centimetri su centimetri. Oppure fingono di avvicinarsi al tavolo per leggere qualcosa e quando tornano sbagliano a reinserirsi nella coda, piazzandosi, guarda un po' te il destino, qualche metro avanti rispetto a prima.

Come quando sei dal panettiere

E' come quando sei dal panettiere. Ormai sei davanti al bancone, sai che tocca a te e mentre stai ordinando alla tua sinistra compare una massaia improvvisamente frettolosa – altra categoria da "stadio" – che allunga la mano e dice «cinque panini morbidi e un filoncino all'olio». Le fai notare gentilmente che c'eri prima tu (e forse anche svariate altre persone dietro di te) e questa ti guarda con aria sorpresa, come se si accorgesse solo in quel momento che all'interno della panetteria ci sono altri esseri umani che vorrebbero comprare il pane.

Succede proprio così. Davanti a me, per la registrazione di oggi c'era un bambino, da solo. Quando arriva il suo turno di registrazione sbuca una giovane madre arrivata dopo di noi e, con scatto felino, comunica alla signora seduta al di là del tavolo il nome di suo figlio.
«Scusi signora, abbia pazienza, prima c'è questo bambino, poi ci siamo noi, se permette...».
La reazione è il solito sguardo perso, teso a sottintendere una domanda di questo tipo: «ah, vuole dire che le cento persone che partono dal marciapiede, oltrepassano il cancello, salgono la scala, percorrono il corridoio, entrano nella stanza e dopo tre quarti d'ora giungono a questo tavolo, sono in coda...?).

Dalla sua gentile bocca non esce niente. Né un elegante «scusi, ha ragione lei», né un vago, «chiedo scusa, ero sopra pensiero», oppure al limite anche un agguerrito «no, guardi che c'eravamo prima noi!». Niente, solo quello sguardo perso, gelido, tipico del tifoso – irreprensibile padre di famiglia, stimato professionista, forse anche cresciuto in una famiglia normale – che sugli spalti, se ce l'avesse, pianterebbe un coltello nella schiena del tifoso avversario seduto davanti a lui.


E pensare che siamo solo al primo giorno...


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martedì 3 giugno 2014

E chiudiamolo al traffico,
questo centro città!


L'isola pedonale della piazza del Castello Sforzesco di Milano

La strada che conduce a una città più vivibile, come si suol dire a misura d'uomo, sembra essere ancora lunga.

Lo dimostrano le critiche all'isola pedonale voluta dal Comune di Milano per l'area antistante il Castello Sforzesco.

Le critiche che sono piovute su Palazzo Marino, e soprattutto sui più "odiati" dei suoi occupanti, il sindaco Pisapia e l'assessore Maran, non si contano e provengono da avversari politici – e questo non sorprende – ma anche da una buona parte di cittadini normali.

Eppure, tralasciando i politici o i soliti accecati per motivi ideologici (che griderebbero allo scandalo anche se da Milano scomparisse, ad esempio, l'influenza della mafia, bollando questa operazione come "una perdita di opportunità per la città"), può essere utile scoprire quali categorie possano ancora oggi essere contro la decisione di chiudere una parte della città al traffico automobilistico.

Chi, a Milano, è davvero contro le isole pedonali?

Lo sono sempre meno i commercianti, che cominciano a rendersi conto che la chiusura al traffico veicolare non è poi così dannosa per la loro attività.

Non lo sono coloro che devono muoversi in città per lavoro, che sono sempre più attrezzati con biciclette, scooter, al limite se proprio proprio devono andare in macchina, con uno dei servizi di car sharing, le auto condivise che sono sempre più diffuse in città. E alcuni milanesi, udite udite, stanno riscoprendo i mezzi pubblici.

Non lo sono la maggior parte dei giovani e dei giovanissimi, che stanno crescendo in una città sempre meno trafficata, dove nelle strade (e sui marciapiedi e sulle piste ciclabili...) le auto cominciano a perdere, piccolo passo dopo piccolo passo, il loro ruolo dittatoriale.

Non lo sono di certo i turisti, che possono godere della nostra bella città senza dover rischiare la vita a ogni incrocio di strada.

Insomma, chi si lamenta, allora? Le persone di una certa età, abituate a una Milano che va scomparendo, che non riescono più a fare a meno dell'auto, nemmeno per andare da qui a lì. Le persone che godono di privilegi, che nel traffico vedono friggere gli altri, perché loro possono evitarlo. Alcuni giovani che hanno ancora il mito dei motori e che vorrebbero trasformare le vie cittadine in piste da corsa, dove sia possibile mostrare agli altri la propria potenza superiore...

Isola pedonale al Castello Sforzesco: 
qui un mese fa si rischiava la vita

Mangiare lì, dove un mese fa si rischiava la vita

Tutte categorie, queste ultime, che non vedono di buon occhio, per tornare all'argomento di apertura, la chiusura di piazza Castello.

Oggi noi abbiamo mangiato lì, in quello che da molti è stato definito "un inaccettabile suk" (qualcuno ha anche aggiunto che "è molto meglio avere il traffico, a questo punto").

A fianco a me, seduta ai tavolini dei tanti punti di ristoro presenti sulle due "curve" antistanti il Castello, ho visto gente di ogni tipo: impiegati, manager, operai, turisti, scolaresche, segretarie, comitive...

Tutti tranquilli, rilassati, seduti a mangiare in punti della città in cui un mese fa si sarebbe rischiato la vita anche solo a sostare per una frazione di secondo. Tranciati da auto in corsa, desiderose di arrivare il prima possibile dall'altra parte della piazza.

In Piazza Castello da quando c'è l'isola 
pedonale, vengono da tutta Italia
Oggi no, al posto dell'assordante rumore dei motori rombanti c'è la piacevole musica delle bancarelle, sottofondo di un approccio alla città diverso, più a misura d'uomo.

Tutto è perfezionabile, tutto può essere migliorato. Ma come si fa a dire che non è già meglio così?


(e intanto in Francia – come già in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Belgio – è partito il piano di incentivi per chi si reca al lavoro in bicicletta, che prevede un rimborso di 25 centesimi per ogni chilometro percorso con la due ruote nel percorso casa-lavoro, come ben spiegato in questo articolo pubblicato su bikeitalia.it).


Aggiornamento luglio 2015

 

Nessun pericolo di essere investiti
Eccoci qui, a un anno dalla situazione descritta nel nostro post. La situazione in piazza Castello è davvero cambiata: l'isola pedonale è diventata una realtà ormai definitiva.

Anche davanti al Castello Sforzesco, dunque, le macchine sono state finalmente scacciate e pure qui – come in altri sempre più numerosi luoghi milanesi – oggi è possibile passeggiare serenamente, godendo della frescura procurata dalla grande fontana e dello spazio che si è venuto a creare grazie all'eliminazione della carreggiata.

Lavori in corso
I lavori sono ancora in corso, recitano i cartelli posti ai confini della nuova area pedonale, ma già oggi è facile immaginare il livello di vivibilità finalmente raggiunto da questa parte di Milano, così frequentata e amata da milanesi e turisti.

Un bel biglietto da visita nei confronti dei visitatori provenienti da ogni parte del mondo, che potranno finalmente attraversare senza problemi quella che fino a poche settimane fa era una delle zone più trafficate e pericolose della città per pedoni e ciclisti.

L'isola pedonale di piazza Castello è finalmente realtà
E ora, invece, tanti percorsi pedonali uniti a una nuova fiammante pista ciclabile che circonda tutta l'area.

Un altro tassello della nuova Milano. Una città, ci sembra di poter dire, sempre più bella e vivibile.







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venerdì 9 maggio 2014

Piazza XXIV Maggio, torna a pulsare
uno dei cuori popolari della città


Riqualificazione di piazza XXIV Maggio e Darsena
Grandi proteste, grande disagio, grande disappunto. A Milano è sempre tutto molto grande, a partire dai nuovi palazzi che la dominano sempre più, ormai, dall'alto.

Non poteva dunque restare "in piccolo" la chiusura di Piazza XXIV Maggio per i lavori di riqualificazione che la riguardano.

Riqualificazione di XXIV Maggio
E' uno dei maggiori interventi urbani che la città metterà in campo in vista di Expo 2015, l'esposizione universale che avrà inizio il 1° maggio 2015. Una riqualificazione destinata a cambiare – si dice in meglio – l'aspetto di questa piazza, molto amata dai milanesi e dai giovani che vi si riversano ogni sera per recarsi nei vicini luoghi della "movida".

Riqualificazione della Darsena
Piazza XXIV Maggio tornerà a essere, come una volta, il cuore pulsante del sistema Navigli. Un cuore in gran parte pedonale, arricchito da un nuovo spazio destinato al mercato rionale, dalla riapparizione del Ticinello, il canale interrato tanti anni orsono che riaffiorerà proprio ai piedi della Porta Ticinese, l'arco eretto per volere di Napoleone agli inizi del 1800, e da filari di platani posti a cornice della parte monumentale.

Riqualificazione della Darsena
Insomma, come dicono i progettisti, quella che ne uscirà sarà una vera e propria "terrazza sulla Darsena", anch'essa riqualificata dopo lunghi anni di abbandono. Non dimentichiamoci come si era ridotto, questo angolo storico di Milano, dopo la scellerata decisione della giunta Albertini, nel 2004, di costruire qui sotto un parcheggio pubblico.

La Darsena, dopo la "cura Albertini"
Ci si dimentica in fretta delle cose (e a volte non sempre in buona fede). Ma fino a qualche mese fa quello che fino a qualche anno prima era stato il porto di Milano – uno dei porti più attivi d'Italia: nel 1953 era il tredicesimo porto nazionale per quantità di merce ricevuta! –, era stato trasformato (dall'incuria e da una serie di scelte politiche e amministrative sbagliate) in un insieme informe di sterpaglie, un grande monumento al degrado sotto gli occhi di tutti, cittadini e turisti.

La Darsena, un paio di anni fa
Ora, con un po' di quella pazienza che gli avversari politici del sindaco Pisapia sembrano non voler concedere (la fine dei lavori è prevista per il prossimo febbraio 2015), sarà possibile donare nuova vita a quest'angolo popolare di Milano. I milanesi che vivono in questa zona ritengono che Porta Cicca, così come la chiamano loro, sia l'unica vera porta di Milano. Non è proprio così, ma è certo che questo sia uno dei monumenti più amati e conosciuti da chi in questa città ci vive o ci capita anche solo per una scappata, di lavoro o di divertimento che sia.

Piazza XXIV Maggio, uno sguardo al passato

Da un'esposizione all'altra. Partiamo da Expo 2015 e, a ritroso, attraverso i decenni, arriviamo all'Esposizione Italiana di Milano del 1881. La fonte è la pubblicazione "Milano e l'esposizione italiana del 1881 - Cronaca illustrata", Fratelli Treves, Editori.

Qui si parla di piazza XXIV Maggio e il testo, che qui sotto riportiamo, è corredato da una splendida stampa a tutta pagina, che qui riproduciamo. Buona visione (cliccando sull'immagine la si può ingrandire) e buona lettura.


"Vogliamo occuparci non solo dell'Esposizione, ma anche di Milano, di questa città che la volle e che l'accoglie nel suo grembo (...).
Diamo pertanto un panorama di Milano veduto da Porta Ticinese, davanti a quell'arco, che, simbolo di pace, si voleva eretto dopo battaglie sanguinose a tutta gloria di Napoleone Primo. Milano si estende davanti ai nostri sguardi, colle sue mille case e col Corso popoloso di Porta Ticinese, il quale si dilunga ampio, ritto, e si perde al nostro occhio. A destra, s'erge il superbo Duomo "sogno di marmo", come lo chiamò un poeta: sorge colle sue guglie meravigliose le quali, nei giorni sereni, su questo bel cielo lombardo tutto azzurro, spiccano come ricami di zucchero. Il panorama di Milano lo vedremo presto da altre altitudini: lo vedremo dal pallone frenato, che sta cucendosi e che, senza pericolo, ci porterà nei campi del cielo. Da questi la Milano, ora ai nostri lettori presentata in un disegno, sarà contemplata in tutta la sua ampiezza, con tutto il suo formicolio d'abitanti e di visitatori.
L'arco, che vedete, è uno dei principali di Milano. E' di ordine jonico, severo e maestoso, costruito a guisa dei portici onorari che si innalzavano in Roma. Quando Napoleone vinse il 15 giugno 1800 la battaglia di Marengo, novantaquattro cittadini pensarono d'erigere un arco che ricordasse quella vittoria, a capo del Corso intitolato allora a Marengo. L'architetto Luigi Cagnola assunse l'incarico di costruirlo; ma essendo occorso molto tempo per provvedere il granito, solo nel 1814 venne condotto a compimento. Era già pronta l'iscrizione che doveva celebrare Napoleone e ricordare la di lui vittoria, quando il semidio cadde dalla sublime sua potenza: e messa in disparte la prima iscrizione, vi fu sostituita la presente: Paci populorum sospitae. Cioè: Alla pace liberatrice dei popoli".



lunedì 28 aprile 2014

E quella casetta di ringhiera
diventò sempre più piccola


La signorina Liliana ha quasi 80 anni e vive in questa casa di ringhiera fin dalla nascita.

Suo, padre, dice, quando era bambino aiutò a costruirla, il nonno lo mandava a dare una mano ai muratori, per qualche soldo. Aiutava a trasportare la sabbia con le carriole, sottolinea la signorina Liliana.

Poi, quando si era sposato, il padre della signorina Liliana aveva pensato fosse del tutto normale venire a vivere in questo palazzo, che sentiva in qualche modo anche suo. Gli sposini si erano sistemati in uno dei bilocali che si affacciano sulla ringhiera, al secondo piano, quello in cui vive ancora oggi la signorina Liliana.

A quei tempi il bagno era in fondo alla ringhiera ed era comune, ma quello che oggi viene visto come un disagio inconcepibile, a quei tempi – erano suppergiù gli anni 30 – era visto come un lusso che non tante persone a Milano si potevano permettere.

«Quanto spazio abbiamo tutto per noi!»

Quando era entrato nella nuova casa, il padre della signorina Liliana aveva detto alla moglie: «Quanto spazio, abbiamo tutto per noi! Adesso stiamo attenti a non fare come a casa dei miei genitori, che è strapiena di cose e non c'è più un centimetro libero».

Era stato facile profeta.

Di lì a poco, infatti, era nata la signorina Liliana. Il locale che fino a quel momento era stato il salottino di casa, era stato trasformato in breve nella stanza della figlia. Per questo la sera, da quel momento, i genitori avevano cominciato a passare direttamente dalla cucina – il locale più caldo della casa, grazie alla cucina economica a legna che aveva la doppia funzione di cucinare e scaldare – alla camera da letto.

Oltre che dal fornello, la cucina era occupata dal lavello, dalla credenza e da un tavolo con quattro sedie. Ora si era aggiunta anche una poltroncina, su cui si sedeva il padre quando tornava stanco dal lavoro.

Nella camera da letto dei genitori, oltre al giaciglio c'era un treppiedi con catino dove ci si lavava – con l'acqua presa dalla fontanella comune posta all'esterno, all'inizio del ballatoio –, un grosso armadio di legno scuro e un cassettone altrettanto scuro su cui era posto uno specchio basculante attorniato da immagini della Madonna e dei Santi, affiancate da lumicini che venivano accesi nelle occasioni speciali. Alle pareti altre immagini sacre e sbiaditi ritratti fotografici di nonni e parenti vari.

Uno spazio sempre più ridotto

Il secondo colpo allo spazio vivibile dell'appartamento lo aveva dato l'avvento del frigorifero. Si era cominciato a parlarne già nel dopoguerra, ma il padre della signorina Liliana, operaio specializzato, lo aveva regalato a sua moglie ben dopo la metà degli anni 50. Forse era il 1957, ma su questo non c'è certezza. Un fantastico elettrodomestico che aveva permesso alla madre della signorina Liliana di fare la spesa una volta ogni tanto, non più tutti i giorni come era costretta prima. Ma che aveva anche ridotto ancor più lo spazio della cucina.

Il terzo attacco era arrivato invece dalla televisione, attorno al 1960. Quella grossa scatola capace di regalare immagini in bianco e nero era entrata nella casa della signorina Liliana da grande protagonista, sistemata in cucina, sopra un mobiletto fatto fare apposta da un falegname amico del padre. Il tavolo su cui si mangiava era stato direzionato – così come del resto la poltroncina del padre – in modo tale che tutti e tre i componenti della famiglia potessero godere dello spettacolo senza bisogno di contorsionismi.

Ma la vera rivoluzione era arrivata, nella casa della signorina Liliana, verso la fine degli anni 60, in pieno boom economico. Una città in grande evoluzione come Milano non poteva più permettere che i suoi cittadini si servissero di bagni comuni, non privati. All'improvviso quella era sembrata una cosa inaccettabile, per cui tutti – spesso con grandi sforzi economici e quindi con grandi sacrifici – si erano preoccupati di porvi fine.

Anche la signorina Liliana, ormai adulta, e la sua famiglia si erano adeguati, sacrificando parte della stanza dei genitori per la costruzione di un bagno finalmente di uso esclusivo – seppur "cieco", senza finestre – corredato di lavandino, water, bidet e vasca da bagno, tutti ovviamente dotati di acqua corrente.

Era stata, quella, una grande botta al poco spazio casalingo ancora a disposizione, che si era andato ulteriormente a ridurre quando nei primi anni 70 era arrivata la lavatrice, incastrata tra bidet e vasca. La gestione della casa era ormai nelle mani della signorina Liliana, figlia unica e nubile di due anziani genitori (in quegli anni avere più di 65 anni voleva dire essere ormai nella "terza età").

Le cose di una vita

Oggi in quella casa, come detto, ci vive la signorina Liliana, da sola. Lei è nata lì e da lì non si è mai mossa. L'altro giorno ho suonato al suo campanello per avere da lei un'informazione. Quando ha aperto il battente del suo portoncino che si affaccia sul ballattoio del secondo piano, non ho potuto fare a meno di notare le tante cose accumulate nel suo appartamento. Oggetti d'arredo, soprammobili, scatole, giornali accumulati e conservati nel corso di un'intera vita.

Lei si è accorta della direzione del mio sguardo e, forse per giustificarsi o forse perché aveva semplicemente voglia di chiacchierare, mi ha raccontato la storia di suo padre, di quando appena sposato aveva chiesto alla moglie di non riempire troppo la casa, come invece avevano fatto i suoi genitori...



I racconti della signorina Liliana, vedi anche "Quando a Milano c'è stata la guerra".


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