venerdì 8 novembre 2013

Il Corriere della Sera vende la sede,
un pezzo di storia che se ne va


Via Solferino, l'attuale sede del Corriere della Sera
C'è stato un momento della mia vita in cui credevo (che ingenuo!) che il fatto di avere sostenuto l'esame da giornalista mi desse di per sé il diritto di lavorare in un giornale, meglio ancora se quotidiano. Per questo, in un modo o nell'altro, ero riuscito ad avere colloqui con direttori e caporedattori dei principali fogli editi a Milano.

Ognuno di questi colloqui sarebbe degno di essere raccontato e forse un giorno lo farò. Ma questa volta mi voglio soffermare su quello che ho sostenuto al Corriere della Sera, all'interno della sede di via Solferino. Mi sembra il momento giusto per farlo, visto che nei giorni scorsi è stata ufficializzata la vendita dello storico palazzo da parte di RCS, società che ha bisogno di soldi per uscire da una situazione economica, diciamo così, non proprio brillante.

Difficile pensare al Corsera scindendolo dalla sua storica sede. Perché il fascino di questo giornale – forse un po' calato nei decenni a livello di lettori, ma sempre immutato nel mondo degli addetti ai lavori – deriva anche dalla sua storia, che fin dalla sua fondazione (ormai sono quasi 150 anni) si è fortemente intrecciata con quella del nostro Paese.

Il portone d'entrata del Corriere della Sera

Quel giorno in cui
ho varcato
il portone
di via Solferino

Me ne sono reso conto il giorno in cui ho varcato il portone di via Solferino per incontrare un gentile caporedattore, con cui ho chiacchierato a lungo e che si è anche prestato a farmi da cicerone, forse leggendo nei miei occhi l'emozione di trovarmi nel tempio del giornalismo italiano. Voglio subito precisare che per il Corriere non ho mai scritto nemmeno una riga, quell'incontro è rimasto un'esperienza unica, che non ha avuto alcun seguito. Ma questo non mi impedisce di sostenere che il giorno della visita al Corriere sia per me uno di quelli da ricordare con maggior piacere.

Sono entrato in via Solferino verso le 11 di mattina. La prima cosa che ho avvertito è stato il silenzio, la grande calma diffusa. E le tante scrivanie vuote. O, meglio, strapiene di fogli, giornali, appunti, riviste, ma senza nessuno seduto davanti al computer. «E' ancora presto» mi è stato fatto notare. Le 11 di mattina, appunto.

Il "mio" caporedattore aveva – e immagino abbia ancora oggi – la sua scrivania nella parte più antica del palazzo, quel cuore che pulsa da decenni, che ha visto transitare giornalisti, scrittori, poeti, personaggi che hanno fatto la storia culturale, letteraria e politica d'Italia. Forse sono stato simpatico al mio interlocutore, perché a un certo punto mi ha detto: «Vieni, facciamo un giro». Un viaggio in stanze e corridoi rivestiti di legno intarsiato, in un mondo da sogno, pieno di riferimenti al passato, testimoniati dai quadri e dai ritratti appesi alle pareti.

Dino Buzzati

La stanza
di Buzzati

«Questa è la stanza in cui lavorava Dino Buzzati».
Così, tanto per cominciare... Buzzati, non so se mi spiego.
«Lui fu uno dei pochi, forse l'unico, che non fu (anche solo momentaneamente) epurato dopo la caduta del fascismo. Nessuno osò processarlo per avere scritto ai tempi di Mussolini: lui viveva in un altro mondo, nel suo, quello che raccontava nei romanzi e negli articoli, che dipingeva sulle sue tele e che nulla aveva a che fare con le miserie umane». Non c'era bisogno di dirmelo, io amo da sempre Buzzati, se non ho letto tutto, di lui, poco ci manca.

«Qui c'è il corridoio che porta all'ufficio del Direttore (in quel momento era Paolo Mieli), mentre questa porticina era quella che veniva usata da D'Annunzio per scappare dai suoi creditori». Cioè? «La porticina conduce a un buio corridoio che porta all'esterno del palazzo. Così quando arrivava qualcuno che cercava il Vate con fare minaccioso – e pare che questo capitasse spesso – questi pensava bene di darsela a gambe scomparendo dietro quella porta...».

Eugenio Montale con Giovanni Spadolini

Montale e Montanelli
amici e "vicini di banco"

«Questa invece era la scrivania di Montale. Lui divideva la stanza con Montanelli». Montale, Montanelli... a me vengono i brividi. «Pensa che Montale prima di entrare al Corriere aveva parlato male di un libro di Montanelli. Quando fu assunto e gli comunicarono che avrebbe diviso la stanza con il "toscanaccio" aveva temuto per la sua reazione. Invece Montanelli non portò mai rancore e i due, pur diversissimi tra loro, lavorarono a lungo uno di fronte all'altro senza che vi fosse mai il minimo screzio».

Quando si parla di Montanelli tendo ad andare in confusione. La stanza con Montale era quella occupata prima di andarsene, prima di fondare il Giornale. Ma al suo ritorno dopo la rottura con Berlusconi dove stava? «Da quella parte, in una stanza vicina a quella del direttore. Del resto Mieli l'aveva detto espressamente: se Montanelli avesse voluto fare il direttore del Corriere lui si sarebbe fatto da parte subito, senza la minima esitazione...».

La Sala Albertini, con il famoso tavolo

La sala e il tavolo di Albertini

Così, mentre pensavo che lì dove stavo camminando io in quel momento, erano passati (spesso di corsa) cotanti personaggi, ecco che il mio "amico di una mattina" mi riserva l'ultima grande sorpresa. «E' ancora vuota e posso fartela vedere, velocemente. Tra poco arriveranno tutti i capiredattori centrali per decidere il giornale di domani». Apre una porta e... «Questa è la sala delle riunioni di redazione, la "Sala Albertini". Quello è il tavolo di Albertini, il famoso direttore del Corriere, non so se ne hai mai sentito parlare...». Se ne ho sentito parlare? Quel tavolo è più di un simbolo. Sedersi attorno a quel tavolo credo sia il sogno di ogni giornalista che abbia scelto di fare questo lavoro per passione...

Tanto storico da avere un suo cartello
Il mio colloquio di lavoro si è dunque poco alla volta trasformato in una visita a una sorta di museo, ma non ho nessun rimpianto. Già solo il fatto di essere entrato lì e di esserci stato per poco più di un'ora, basta e avanza. Anche perché ho continuato comunque a fare il mio lavoro di giornalista, con passione, a prescindere dal Corsera.

E' per questo che, anche se alla fine nulla cambierà nella mia vita (noi giornalisti free lance non ne abbiamo di sedi, ci arrangiamo come possiamo) non posso gioire per la vendita di questo palazzo. Chissà che cosa diventerà in futuro. La sede di una banca? Di una finanziaria? Di una multinazionale? O forse un grande magazzino o, perché no, una mega sala scommesse con annesso reparto slot machine?

Indro Montanelli nella sede del Corsera (1940)

La ribellione
degli spiriti

In ogni caso sarà un disastro. Detto da giornalista, ma anche da milanese. Ci sarebbe quasi da sperare che gli spiriti di coloro che lì hanno scritto pagine memorabili – in questi ultimi 100 e più anni, visto che il palazzo è la casa del Corriere della Sera dal 1904 –, guidati magari da quel toscanaccio di Montanelli, si ribellino, tutti insieme, e riescano a far scappare da quella porticina tanto cara a D'Annunzio coloro che hanno pensato e messo in campo questa sconsiderata e irrispettosa operazione immobiliare.


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