giovedì 27 giugno 2013

Viva, viva la, viva la Svezia!



L'isola di Fårö, la preferita di Ingmar Bergman

Alcuni momenti di una breve vacanza passata in Svezia, Paese del Nord Europa, distante meno di tre ore d'aereo dal nostro civilissimo Nord Italia.

L'autista che chiama al telefono

Arrivati all'aeroporto svedese alle ore 20, con una luce sorprendente, dobbiamo prendere l'autobus per la cittadina più vicina, dove abbiamo prenotato l'albergo per la notte. Il biglietto, ci dicono, lo si può fare direttamente sul mezzo e questo non ci sorprende. Ma qui c'è una possibilità in più: quella di pagare con la carta di credito che l'autista, un signore di colore dall'aria paciosa, prende e restituisce, insieme al ticket, senza fare neanche un plissé.

(Mi viene in mente che nella farmacia sotto il mio ufficio, in centro a Milano, una volta ho comprato un medicinale che costava circa 5 euro. Ho dato la carta di credito e la farmacista, con fare sgarbato, mi ha detto: «La carta per così poco? No, guardi, mi dia del contante...»).

In bicicletta, alle 22 e 30.
Arrivati al capolinea, che coincide con la stazione degli autobus della cittadina dove è il nostro albergo, ci accorgiamo di non avere una cartina del posto e di non sapere esattamente dove andare. L'autista ci vede un po' titubanti e in un buon inglese ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto. Diciamo il nome del nostro albergo, ma lui dice di non sapere esattamente dove sia, non abita lì.

Ma ci dice anche di aspettare un momento: prende il suo telefonino e chiama la sorella, che suo marito, dice, sa di sicuro dov'è l'albergo. Ma il telefono è occupato e allora un giovane che era sull'autobus con noi ci dice di seguirlo, che ci porta lui.

Attraversiamo la via principale della cittadina, abbastanza deserta, come fossimo una specie di trenino: davanti il giovane – che cammina di buon passo e non dirà niente fino all'indicazione «E' lì...» e il saluto finale «Bye» –, dietro noi, due adulti e due bambini, ognuno con il suo trolley.

(Mi viene in mente che l'ultima volta che sono stato a Roma, insieme ad amici, abbiamo chiesto a un giovane che era sull'autobus dove era un certo posto. Lui ha detto: «Vado proprio da quelle parti». Poi a un certo punto è sceso e ha detto: «Scendete tra tre fermate». Noi l'abbiamo fatto e ci siamo trovati da tutt'altra parte rispetto a dove volevamo andare).

Per gonfiare le gomme

Il gonfia gomme

Il giorno dopo, prima di partire per le nostre future mete, facciamo quattro passi nella cittadina. E' domenica e non c'è un gran movimento, nella grande via, isola pedonale. Ma a un certo punto c'è un oggetto che attira la nostra attenzione.

A prima vista sembra un bidone dell'immondizia e invece è una centralina erogatrice di aria compressa, che serve per gonfiare gratuitamente le gomme – come è illustrato su un lato della stessa – di bibiclette, carrozzine e carrozzelle. Biciclette, carrozzine e carrozzelle. Naturalmente è perfettamente funzionate e nessuno penserebbe mai, lì, di "fregarne" o comunque danneggiarne il tubo, visto che è di tutti e può servire a tutti.

(Mi viene in mente che una volta che mi si era rotta la pompa sono andato da un riparatore di biciclette vicino a casa, che mi ha fatto pagare un euro per ogni bicicletta "gonfiata", naturalmente con il compressore).


Nell'Astrid Lindgren World, a Vimmerby

I bambini non pagano

Dire che la Svezia sia a buon mercato sarebbe dire una grande bugia. Alberghi, ristoranti, mezzi pubblici, sono tutti molto più cari rispetto ai nostri. Ma loro sono fuori dall'euro e lì gli stipendi, almeno quelli di buona parte di loro, sono adeguati al costo della vita.

Ma c'è una particolarità: i bambini quasi ovunque non pagano. In alcuni casi, come negli alberghi, sui mezzi pubblici e nelle realtà "private" solo fino a una certa età, comunque sempre avanzata. In altri, come in certi musei, anche fino a età da noi impensabili: non è raro "scovare" esenzioni che arrivano addirittura ai venti anni.

I bambini da queste parti sono sacri. Qualsiasi posto è attrezzato per le loro esigenze e per quelle delle famiglie. Ogni bagno ha un fasciatoio, molti bar hanno scaldavivande e scaldabiberon a disposizione dei genitori, ogni luogo pubblico ha uno spazio con giochi e tavolini vari. Sul battello che ci ha portato a fare il giro dell'arcipelago di Stoccolma hanno regalato album e matite per colorare ai nostri due figli, proprio mentre cominciavano ad annoiarsi (in un momento dunque non scelto a caso!).

(Mi viene in mente quando i nostri due figli erano più piccoli. Nei ristoranti italiani, tanto per fare un esempio, era un miracolo trovare i seggioloni. In alcuni ce n'erano, ma mai più di uno-due e se non si arrivava per tempo... In genere, i bambini dalle nostre parti sono mal digeriti se non addirittura osteggiati. Basti pensare alle mamme che devono prendere i mezzi pubblici, alle evoluzioni che devono compiere per caricare e scaricare passeggini su tram e autobus che hanno l'accesso molto più alto del livello stradale).


Quando si dice zona pedonale

Città a misura
di pedone e ciclista

In città come in campagna, la Svezia è piena di piste ciclabili. E dire che qui in bicicletta ci si potrà andare giusto due-tre mesi all'anno, quando non c'è il ghiaccio ovunque. La caratteristica principale delle piste ciclabili della Svezia è che... sono veramente delle piste ciclabili.

Nessuno da queste parti pensa anche lontanamente di parcheggiare la sua vettura sullo spazio riservato alle biciclette. A Stoccolma esistono intere vie riservate a pedoni e biciclette e non pare che i negozianti ritengano che questo sia un danno per loro.

Tutti i semafori pedonali sono dotati di pulsante di prenotazione. Se non lo si preme, il verde per attraversare non arriva mai. Ma se lo si pigia si può stare tranquilli che entro 10 secondi le vetture verranno fermate e il passaggio sarà consentito. Abbiamo attraversato molte strade, non abbiamo mai trovato uno di questi dispositivi rotto o danneggiato.

(Mi viene in mente che a Milano le piste ciclabili sono pochissime e molte sono pericolose perché continuamente invase dalle moto e dalle auto che cercano scorciatoie per arrivare prima – come quella di via Francesco Sforza, per esempio – o impercorribili perché bloccate dai mezzi parcheggiati, come quella ormai famosa di via Vittor Pisani, tanto per farne un altro. Qui appena si chiude il centro al traffico alle auto tutti si lamentano e quando anche i semafori sono dotati di dispositivi di prenotazione, o sono rotti o prima di far venire il verde passano interi minuti).


In attesa dell'imbarco per l'isola di Gotland

L'imbarco

La Svezia ha migliaia di isole. Gli imbarchi sono dunque all'ordine del giorno e vengono svolti come se fosse la cosa più naturale del mondo. Le macchine arrivano e vengono incanalate in corsie numerate. Poi quando viene il verde partono secondo l'ordine indicato: prima la 1, poi la 2 e così via. Nessuno cerca di fregare, di portarsi avanti, di rubare posizioni. Arrivi per ventesimo? Sali sul traghetto per ventesimo. E' la cosa più normale del mondo.

Poco prima di salire sul traghetto trovi una persona (una!) che ti indica dove andare: a destra, a sinistra, al centro. Sali, parcheggi l'auto, scendi e vai sui ponti. Tutto molto normale, tutto molto tranquillo.

(Mi viene in mente come funziona da noi. Tu arrivi per primo e com'è, come non è, sali per cinquantesimo. Le macchine sbucano da tutte le parti, ogni centimetro d'avanzamento è una lotta, devi guardarti a destra e a sinistra per evitare i furbi che cercano di superarti. Davanti al portello del traghetto, poi, ci sono almeno venti persone in divisa o con giubbotto colorato, tanti anche con berretto militare e gradi, che danno indicazioni, parlano tra loro, guardano (o fingono di guardare) carte d'imbarco, fanno passare per primi gli amici, ecc. Insomma, una gran confusione, per cui quando riesci a salire e parcheggiare ti senti sfinito, come se avessi dovuto partecipare a una guerra).


Riposando in un parco di Stoccolma

Muri, marciapiedi
e parchi puliti

Non c'è un muro, nei centri abitati svedesi, che sia sporcato da segni, disegni, tags o quant'altro. Eppure i giovani li hanno anche loro, il disagio è vissuto anche lì, i barboni non mancano. Ci sono persino, udite udite, gli "extracomunitari"... E l'inverno, lì, dura 9/10 mesi, roba che uno per sfogarsi dovrebbe scrivere di tutto sui muri della casa di fianco alla sua. E invece niente, solo facciate pulitissime. Graffiti & C. ce ne sono solo sui muri delle ferrovie o in altri posti che hanno tutta l'aria di essere "legalizzati".

E' un piacere passeggiare nel centro di Stoccolma: tutto è pulito, ordinato, ti puoi quasi sdraiare per terra senza avere paura di prendere qualche infezione. Agli angoli delle strade, in molti casi, si trovano cestini della spazzatura differenziata: per la carta, per la plastica, per il vetro, per il resto. Tutti li usano con attenzione e senso civico. Per non parlare dei parchi, che non hanno un ramo fuori posto. Lì ci si può davvero sdraiare e pensare, anche se sei in pieno centro città, di trovarti in mezzo a un bosco dell'estremo Nord.

A Milano si fa così...
(Mi viene in mente che vicino a casa nostra, in via Balbo, qualche mese fa hanno riverniciato la facciata di un palazzo, con un bel giallo paglierino. Ci passo davanti tutti i giorni, per andare al lavoro. Da allora per almeno tre volte i proprietari, che probabilmente ne hanno fatto una questione di principio, hanno chiamato gli imbianchini per cancellare le scritte fatte, volta per volta, dai soliti idioti. Ma quel palazzo è un'eccezione: basta vedere tutto il resto che ci sta attorno... Da noi, poi, niente cestini differenziati, solo oggetti, anche di grosse dimensioni, abbandonati sui marciapiedi o dove meglio capita).


Linneo mentre naviga sul suo smartphone

WiFi gratuito, dappertutto

Non è per dire. In Svezia navighi davvero gratuitamente in un sacco di posti. Negli aeroporti, negli alberghi, nei locali pubblici, nei musei, nei parchi... Spesso, quasi sempre, senza avere bisogno di fare complicate operazioni di registrazione. Ti viene chiesto se accetti le condizioni di uso, tu rispondi di sì e sei collegato. Tutto lì.

Ok, che si possa navigare in albergo è ormai cosa quasi normale (ma vorrei vedere come funziona in certe pensioni della Liguria...). Ma che lo si possa fare sul pullman che ti porta dalla città all'aeroporto è abbastanza sorprendente...

(Mi viene in mente che leggo spesso di persone che si lamentano perché sul fiore all'occhiello delle nostre ferrovie, il "Freccia Rossa", il cui viaggio Milano-Roma costa come dieci voli low-cost a Parigi e ritorno, la navigazione è difficoltosa. «E' perché il treno va troppo veloce», si giustificano quelli di TrenItalia. Mah...).


Sulle orme di Pippi Calzelunghe

Viaggio in Svezia con i bambini sulle orme di Pippi Calzelunghe? Tutte le dritte per partire.



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martedì 11 giugno 2013

Pranzo milanese
(finalmente con il sole)

Finalmente un po' di sole, voglia di uscire, respirare aria sana, stare in mezzo alla gente.

Oggi pranzo all'aperto, in piazza Sant'Alessandro, uno degli angoli più belli della città.

Ordino, aspetto il piatto e intanto scorro Twitter. Molti messaggi arrivano da Istanbul – così vicina, così lontana – parlano di scontri nelle vie del centro, di avvocati arrestati, di cariche della polizia.

Uno dei tweet più drammatici racconta che in piazza Taksim "Migliaia di mani alzate corrono verso la polizia, che continua a sparare gas lacrimogeni".

Nei giorni scorsi sono già morti tre "indignados", in Turchia, nelle proteste di coloro che chiedono le dimissioni del premier turco Recep Tayyip Erdogan, che dal canto suo ha fatto sapere, poche ore fa, che «Nessuna protesta verrà più tollerata» (vedi questo servizio dell'Huffington Post).

Mi viene in mente che qui da noi, ieri sera, decine di giovani virgulti milanesi sono scesi in piazza per difendere i diritti di una gelateria alla moda, al grido di #PiùGromMenoRom, tanto per rimanere in tema di tweet (leggi qui un breve resoconto della serata).


Meglio pensare agli anziani...

Vabbè, lasciamo stare i giovani. Pensiamo agli anziani, come questa simpatica e tenera coppia seduta nel tavolino a fianco del mio. Hanno finito di mangiare e sono lì uno di fronte all'altro, in silenzio.  

Sembrano assaporare un momento di relax. Loro, così sereni, in mezzo a centinaia di persone che camminano con frenesia e che, anche quando si siedono ai tavolini, pensano solo a consumare i pasti in tutta fretta, pronti a tornare in ufficio in orario.

Lui a un certo punto si rivolge alla moglie e le dice, con voce tremula e gentile: «Quando vuoi possiamo andare...».

«Sei veramente una persona disgustosa», risponde lei, facendomi sobbalzare di nascosto sulla sedia. «Dillo che vuoi andare via tu, perché sei stufo di stare qui, e non fare finta di chiedere a me se voglio restare o no... Sei ignobile, come sempre, lasciatelo dire!».


Io quasi quasi spero che domani torni a piovere.


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martedì 4 giugno 2013

La strada della carità

La strada della carità è quella che percorro ogni mattina, quando vado al lavoro. Ho la fortuna di andare in ufficio a piedi, senza dover prendere né auto, né mezzi pubblici. Metà della strada la percorro insieme ai miei bambini, che porto a scuola, la seconda da solo. Un totale di circa due chilometri, forse qualcosa meno, caratterizzato da incontri che sono sempre gli stessi, ogni mattina. Incontri con persone che stazionano sempre negli stessi posti e che a vario titolo chiedono qualche spicciolo per poter vivere.

La prima persona che incontriamo è una donna di origine slava e di età apparente sui 40/45 anni che staziona davanti al supermercato ed è abbastanza insistente. Ormai ci conosce, quando ci vede arrivare attraversa la strada e viene sul marciapiede che percorriamo in tutta fretta, per non arrivare tardi a scuola. In genere racconta, nel suo stentato italiano, che lei è molto malata, così come i suoi bambini, che non possono andare a scuola perché devono curarsi. Una volta le abbiamo dato un sacchetto con un po' di vestiti, per i suoi bambini. Sembrava felice, da quella volta però è diventata ancor più insistente e così a volte, spiace dirlo, decidiamo di cambiare strada per non dover sottostare ai suoi "attacchi".

Poco più avanti incontriamo Vittoria, che forse viene dal Kosovo, di cui ho già parlato in un post di Milanau. Lei, così minuta, sembra instancabile. Con la sua grinta che la fa apparire anche fin troppo aggressiva, non si perde un'auto tra tutte quelle che si fermano al semaforo della circonvallazione posta a ridosso delle mura spagnole. Con noi è sempre gentile, e anche quando si arrabbia con gli automobilisti poco generosi con lei, e si mette a gridare frasi incomprensibili (che però non fatichiamo a interpretare), se ci vede saluta i bambini con il suo sorriso senza denti.

All'imbocco dei giardinetti posti proprio a fianco della scuola, a volte si posiziona un uomo sudamericano che chiede con grande dignità qualche soldo per la sua famiglia. Una volta abbiamo visto anche la moglie con il figlioletto: la famiglia ce l'ha davvero. Ma è da un po' di tempo che non si vedono più, forse hanno scelto un posto migliore, lì le persone vanno sempre di fretta, nel timore che suoni la campanella, e non hanno nemmeno il tempo di cercare qualche monetina.

Pochi metri dopo avere "depositato" i bambini, ecco la ragazza zingara seduta che ripete una litanìa infinita, modificando il soggetto a seconda di chi stia passando: «Per favore, belo signore...», «Per favore bela signora...», «Per favore, belo signore...». Lei è lì, seduta per terra, anche quando piove, naturalmente senza ombrello e non sembra riscuotere gran successo, la gente le passa davanti senza nemmeno mostrare di accorgersi della sua presenza.

Girato l'angolo, ecco il suonatore di fisarmonica. Sembra un hidalgo spagnolo, con i capelli neri e lisci e i baffetti sottili e curati. Invece forse è argentino, come lascerebbero intendere i suoi pezzi musicali, fatti di intensi e malinconici tanghi. Lui si siede spalle al muro e suona. Suona bene, e saluta con un sorriso chi passa e lo degna di uno sguardo. La sua musica è piacevole, si diffonde in tutta la zona pedonale da cui si fa ospitare, e forse lui è uno dei pochi che riesce a guadagnarsi da vivere, in questo tratto di strada.

Poco avanti c'è una chiesa, davanti al portone si alternano un uomo e una donna, entrambi slavi. Mi immagino che siano marito e moglie, o comunque compagni, che si dividono il compito. Una mattina uno e quella dopo l'altra. Anche loro sembrano faticare a raccogliere quattro spiccioli e per questo si spostano in continuazione per cercare di intercettare i passanti, che sono per lo più impiegati e professionisti che si dirigono verso gli uffici del centro o studenti che si recano nella vicina Università.

Ormai ho percorso più della metà del mio percorso. Ed è qui che incontro l'uomo africano con il suo "negozietto" ambulante. Vende un po' di tutto, dagli occhiali, alle borse, agli ombrelli. Forse quest'anno quattro soldi, con tutta l'acqua che è scesa, sarà riuscito a farli. Lui non ti chiede niente, sta semplicemente lì, tutto il giorno a fianco dei suoi gradini allestiti a bancarella, con la sua alta figura e la sua grande dignità, che ci fanno immaginare si tratti di un principe africano, fuggito per chi sa quale motivo dal suo Paese e costretto ad affrontare una difficile vita in quello che forse immaginava fosse come il Paese dell'Eden. La mattina offre un servizio supplementare, naturalmente gratuito: la distribuzione dei giornaletti freee press, che dispone ordinatamente su un muretto lì vicino, a disposizione di chi voglia prenderli.

Non è finita qui. Oltre l'incrocio della circonvallazione interna c'è un altro suonatore di fisarmonica, questa volta di sicuro di origine balcanica, viste le sue musiche "tipo Bregovic". La sua posizione prevede molto più passaggio di persone rispetto a quello dell'hidalgo. Ma qui la confusione è molta: passano numerose automobili, il marciapiede è molto più stretto, anche la sua musica – forse condizionata dalla diversa situazione – è meno rilassata. Risultato: il piattino sembra faticare a riempirsi.

Ormai sono quasi arrivato in ufficio, giusto il tempo di passare davanti alla ragazza probabilmente rumena che vende giornali. E' vestita in modo semplice ma dignitoso e ha uno sguardo malinconico, quasi assente. Con una certa timidezza, chiede alle persone se vogliono comprare le sue riviste, che sono quelle che vediamo in giro spesso, che parlano di immigrazione e della dura condizione in cui vivono molti immigrati, qui in Italia. Forse è davvero troppo timida, non l'abbiamo mai vista riuscire a piazzarne una. Ma forse, ce lo auguriamo per lei, non l'abbiamo sorpresa al momento giusto.

E così, dopo avere percorso a piedi i miei soliti due chilometri (forse qualcosa meno) eccomi finalmente in ufficio. Accendo il computer e rispondo al telefono e mi dimentico della "strada della carità", mi dimentico che Milano, che mi piaccia o no, è anche quella cosa lì.


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