venerdì 22 luglio 2011

Dieci anni senza Montanelli

Dieci anni fa, a Milano, moriva Indro Montanelli, giornalista. Era il 22 luglio 2001, una data triste per chi, come me, amava leggere quello che l'Indro scriveva. Lo seguivo dai tempi del "Giornale", quando lo comprava mio padre, poi alla "Voce" (di cui conservo l'intera collezione) e infine al Corriere della Sera. E nel frattempo ho letto molti suoi libri, quasi tutti, nella mia libreria ne ho circa una novantina.

Per questo non sono obiettivo, quando parlo di Montanelli. Lo sento a me molto vicino, come se lo avessi conosciuto personalmente, e avessi una particolare confidenza con lui. E invece non l'ho mai incontrato. O, meglio, una volta gli ho stretto la mano, ma è stato un vero disastro, per me.

Un giorno del 1994, al Politecnico

Era l'anno della "Voce", il 1994, e avevo letto da qualche parte che al Politecnico Montanelli avrebbe incontrato gli studenti. Se facevo in fretta, avevo calcolato, sarei riuscito a rubare un paio d'ore al lavoro e a infiltrarmi nell'aula per sentire parlare di persona, finalmente, il "mio" direttore. Così com'ero, in giacca e cravatta, andai all'incontro. Mi ricordo che doveva esserci qualche altro giornalista, tra i relatori, che però all'ultimo non venne. Meglio così, la ribalta fu tutta per lui. Parlò con la sua solita verve degli ultimi tormentati mesi del "Giornale", del suo scontro con Berlusconi, della decisione di fondare la "Voce". E io lì, seduto in mezzo agli studenti ad ascoltarmelo tutto. Gongolante. Anche perché avevo l'impressione che spesso, parlando, fermasse il suo sguardo, duro e limpido, su di me.

Immaginazione frutto del mio solito egocentrismo, pensavo. Fino a che, a un certo punto, Montanelli se ne uscì con una frase di questo tipo: "Stanno tentando di tutto per tagliarci le gambe, alla "Voce". Del resto chi abbiamo contro è molto potente e ha mille mezzi per cercare di sconfiggerci. Anche le spie, può usare. Anzi, sono convinto che anche oggi, in mezzo a voi, ci sia qualcuno mandato dai nostri nemici per registrare e riferire bene quello che diciamo. Ne sono arcisicuro!". In un attimo l'aula si fece silenziosa, sulla pausa ben studiata dell'Indro che, ora più che mai, avevo l'impressione avesse fermato il suo sguardo, più duro che limpido, inequivocabilmente sulla mia figura. La mente cominciò a girarmi vorticosamente, e non ci misi molto ad arrivare alla conclusione che sì, in effetti, le circostanze erano tutte contro di me. Uno sconosciuto a tutti, sicuramente non uno studente (se non fuoricorso da molti anni...), l'unico in giacca e cravatta... Se fossi stato uno studente seduto al mio fianco – o, peggio ancora, se fossi stato Montanelli – non avrei avuto alcun dubbio, "quella è la spia".

La situazione durò un attimo. Per me fu però un'eternità. Mi sono sempre chiesto se fu solo una mia suggestione o se veramente ero stato l'oggetto della sua attenzione. Un dubbio che aumentò (o forse no, purtroppo diminuì...) quando, alla fine della conferenza, mi avvicinai al tavolo per ascoltare quello che Montanelli diceva agli studenti che gli si erano fatti intorno. Quando giunsi al suo fianco, per un attimo ebbi la sensazione che tutti si fermassero per una frazione di secondo. Poi, non so come, dissi: "Direttore...". Lui si girò di scatto, piantò i suoi occhi indagatori nei miei e chiese: "Sì?". "Volevo solo salutarla". Lui mi studiò ancora un attimo, poi tese la mano e rispose al mio saluto. Mi allontanai, certo che lui in quel preciso momento stava chiedendo agli studenti se mi avevano mai visto prima, a sostegno della sua tesi della spia infiltrata nell'aula...

L'unico incontro, un vero disastro

Questo è stato il mio unico incontro con Montanelli. Un vero disastro, come ho detto prima. Ma che non è riuscito a scalfire in minima parte il piacere che provo ogni volta che leggo qualcosa da lui pensato e scritto. Non era infallibile e spesso era anche opinabile, certo. Ma a Milano e all'Italia è mancata, in questi dieci anni, una mente lucida e critica come la sua, in grado di analizzare e spiegare ai lettori in un battito di ciglia le situazioni all'apparenza più complicate. Sarebbe stato interessante conoscere la sua opinione in relazione all'elezione di Pisapia, allo sconfortante balletto cui da anni assistiamo attorno a Expo 2015, all'utilizzo dei militari in città, alla questione legata alla costruzione della moschea milanese, ecc. ecc....

Ma lui se n'è andato ormai da dieci anni, anche se certe sue esternazioni passate lo rendono quanto mai vivo. Il suo scontro con Berlusconi, le sue opinioni sull'ex "editore perfetto"  entrato in politica, risuonano potenti oggi come allora (come dimostra il libro "Ve l'avevo detto", uscito nei giorni scorsi e che raccoglie tutti gli scritti più significativi relativi alla figura del Cavaliere). Seppur morto fisicamente, insomma, Montanelli è sopravvissuto attraverso il suo pensiero tutti questi anni grazie alla persistenza di Berlusconi. Quando questi cadrà, allora il principe dei giornalisti potrà davvero riposare in pace. Perché finalmente non verrà ricordato solo per essere stato uno dei più irriducibili oppositori dell'uomo di Arcore, ma per tutto quello che ha fatto e scritto – nel bene e nel male – nella sua lunga e avventurosa vita.

Glielo auguro di tutto cuore, non serbandogli alcun rancore per avermi un giorno (forse) scambiato per una spia al soldo del nemico.

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venerdì 8 luglio 2011

Militari in città? No grazie...

I militari, nelle strade di Milano, sarebbe meglio non averli. Questa la mia personalissima opinione, condivisa però da molti milanesi con cui mi capita di parlare. Non so se vi è mai successo di trovarvi davanti un militare in mimetica e anfibi, con a tracolla un fucile "che neanche Rambo..." e il dito indice della mano destra sul grilletto.

A me è capitato proprio l'altro giorno. Durante la pausa pranzo ero in un baretto del centro a mangiare il mio panino d'ordinanza, quando da dietro l'angolo è sbucata una giovane donna così agghindata. Per un attimo mi sono chiesto se quella che vedevo attraverso il vetro, all'esterno, fosse davvero Milano o piuttosto un'altra città. Di solito, in questi casi, si dice: "Sembra di essere a Beirut", ma credo che quella povera città, prima o poi, debba essere lasciata in pace...

Il disagio di passare vicino a una persona armata

Sarò troppo sensibile, ma la visione di un militare in tenuta da combattimento in mezzo alla vita cittadina in qualche modo mi turba. Sarà anche lì per la mia sicurezza – questo lo capisco – ma la sua visione non riesce a tranquillizzarmi. Mi vengono in mente quei paesi del Chiapas, in Messico, bellissimi a vedersi ma "presidiati" a ogni angolo di strada da militari con facce agguerrite che ti fanno passare la voglia di fare il turista. Oppure certe città dell'Est europeo prima che cadesse il Muro di Berlino...

Oppure, anche, un paesino del sud della Calabria nelle cui vicinanze ho trascorso, una quindicina d'anni fa, una bella vacanza. Alla sua entrata era piazzato un autoblindo dell'esercito che aveva sulla sua torretta un militare sempre pronto a usare la sua potente mitragliatrice pesante. Del paesino non ricordo un granché, se devo dire la verità, ma il ricordo del soldato pronto a sparare, il disagio che mi coglieva ogni volta che gli passavo vicino, non mi ha mai abbandonato...

Sicurezza pubblica? Ma non ci sono le forze dell'ordine?

Ora, capisco che alcune situazioni debbano essere, è inevitabile, presidiate militarmente. Ci sono luoghi che sono considerati obiettivi sensibili, potenziali bersagli di attacchi terroristici e via discorrendo. Se vedo un militare davanti al consolato americano, o davanti a una sinagoga, o ancora davanti a un palazzo che ospita una realtà esposta a seri pericoli provenienti dall'esterno, non posso che adeguarmi alle necessità e accettare la situazione. Pare proprio che in questi casi non se ne possa fare a meno.

Ma militari utilizzati per garantire la sicurezza pubblica nelle strade, nei giardini, nei parchi, quelli no, preferirei non vederli. Abbiamo forze dell'ordine in grado di effettuare in modo efficiente, grazie alla loro competenza e alla loro esperienza, il controllo della legalità. Si chiamano Polizia di Stato, che fa capo al ministero dell'Interno, e Carabinieri, che riferiscono al ministero della Difesa. Solo loro hanno la possibilità di intervenire in caso di comportamenti illegali, da codice penale. I militari no, non lo possono fare: possono solo servire da deterrente e avvisare le forze dell'ordine di quanto sta accadendo o di quanto è già accaduto.

E' solo una protezione di facciata

Quella fornita dai soldati è dunque solo una protezione di facciata, che qualche costo ce lo deve comunque avere. Allora, destiniamo a Polizia e Carabinieri i fondi che oggi vengono assegnati all'esercito: i risultati, in termini di lotta all'illegalità, nelle città, non saranno certo minori, anzi... E sarà anche l'occasione per ridare dignità a due corpi che, da un po' di anni a questa parte, stanno perdendo colpi sotto il profilo dell'immagine, ridotti come sono all'osso per quanto riguarda le risorse economiche e umane e confinati, per lo più, al ruolo di elargitori di multe e contravvenzioni legate al codice della strada.

(E so che qualcuno starà pensando al caso del cittadino morto una delle scorse notti durante un controllo eseguito da alcuni poliziotti. Ma io credo che quello non sia un problema che riguarda il corpo della Polizia nel suo complesso ma, se si dovessero accertare responsabilità, le singole persone coinvolte. Se gli agenti hanno sbagliato, pagheranno: ho fiducia nella magistratura, che per fortuna non è ancora assogettata al controllo del Governo, come qualcuno vorrebbe. Se lo fosse, allora sì, che non mi sentirei tanto tranquillo...).

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