lunedì 30 maggio 2011

Pisapia ha vinto, viva Pisapia!


Non bisogna pensare che Milano muterà aspetto dall'oggi al domani, all'improvviso. Ma è sicuro che qualcosa, in città, è già cambiato. Pisapia, il nostro nuovo sindaco, ancor prima di essere eletto è riuscito a compiere una specie di miracolo. E' riuscito a destare, in particolare, l'animo di tanti cittadini che da tempo avevano scelto di restare ai bordi, sentendosi in qualche modo messi in disparte. I giovani, ad esempio, quelli che studiano e quelli che lavorano. Ma anche i trenta/quarantenni, esponenti di una generazione rimasta per troppo tempo tra "color che son sospesi...". Infine coloro che vivono in periferia, che fanno parte del mondo dell'associazionismo, molti professionisti, addirittura alcuni appartenenti al mondo variegato del cattolicesimo.

Non voglio dire che questo uomo proveniente dall'estrema sinistra alla fine si sia mostrato più "moderato" della sua avversaria e della parte politica che questa rappresenta. Mi sembrerebbe, facendolo, di generalizzare troppo e al tempo stesso di abusare di un concetto, quello dell'essere moderati, troppo utilizzato (e spesso a sproposito) per essere ancora credibile.

Pisapia ha vinto semplicemente perché in città c'era una gran voglia di cambiamento. Una voglia nascosta, latente, esplosa solo pochi giorni prima delle consultazioni elettorali. La Moratti e i suoi sostenitori illustri ce ne hanno messo del loro, non rendendosi conto che il vento, come ormai si dice da giorni, stava cambiando. Hanno continuato a comportarsi come se niente fosse, come se il consenso tacito e rassegnato avuto fino a quel momento fosse ancora del tutto presente. E invece non era così. Non se ne sono accorti, accecati da una sorta di delirio di onnipotenza, e hanno pagato.

Ma questo appartiene ormai al passato. Il presente è una città che sta vivendo un'atmosfera del tutto particolare. C'è entusiasmo, voglia di cambiare, di fare. Si sente una grande energia, nell'aria, e ora il compito più difficile del nuovo sindaco sarà proprio quello di convogliare tutta questa nuova forza in una direzione positiva. Non potrà certo fare miracoli, Pisapia, ma i cittadini che l'hanno votato molto si aspettano da lui.

Per prima cosa si aspettano che sia il sindaco di tutti, anche di chi non la pensa come lui. E anche di chi non ha la pelle del suo stesso colore e prega un dio diverso dal suo. Che sia il sindaco di coloro che non hanno una casa e che hanno perso il lavoro (o che non l'hanno mai trovato). Degli anziani e dei bambini, ma anche di chi lavora – commercianti, imprenditori, donne, mamme, precari, ecc. – e vorrebbe continuare a farlo in modo dignitoso. Che sia il sindaco che renderà Milano più vivibile, con più servizi, meno traffico, meno smog, più verde. Che rappresenti il più rigido baluardo contro le infiltrazioni delle mafie, a tutti i livelli. Che torni a donare ai vigili urbani un ruolo e un'immagine sempre più vicino ai cittadini, come quando venivano chiamati "ghisa" e non si occupavano di tutti quegli aspetti legati alla sicurezza che spetterebbero ad altri corpi ben più attrezzati a farlo.

Che risolva una volta per tutte, e senza danni per i cittadini, la questione dei centri sociali che, anche se non sono certo la priorità di questa città, rappresentano sempre un'arma in più per chi vuole dare una dimostrazione di città allo sbando. Che dia alla cultura il ruolo che le spetta, che riesca a tenere pulite le facciate dei nostri palazzi. Che riesca a portare Milano all'Expo senza speculazioni, soldi sprecati, arricchimenti indebiti. Che riesca a far funzionare le municipalizzate, da Atm a Milano Ristorazione. Che sia il sindaco che chiuda definitivamente i conti col passato, mettendo finalmente una lapide a ricordo del commissario Calabresi (da inaugurarsi magari il 17 maggio 2012, a 40 anni dalla sua uccisione, che bello se in presenza anche di Dario Fo...), chiudendo una ferita per troppo tempo lasciata aperta. E che ridia, infine, l'orgoglio di essere "milanesi" a tutti quelli che hanno la fortuna di abitare in questa magnifica città.

Se riuscirà a fare anche solo la metà di queste cose Pisapia si guadagnerà uno spazio nell'olimpo dei migliori sindaci della città. Molti ci credono, oggi, e festeggiano il cambiamento. Ma spetta anche a loro fare in modo che questo avvenga perché una sola persona, anche se circondata da uno stuolo di collaboratori validi, può fare ben poco.

E allora, che l'elezione di Pisapia sia un pretesto per cambiare marcia, psicologicamente, uscire dal torpore di questi ultimi anni e tornare a essere protagonisti della nostra vita. Perché la nostra città diventi esattamente e finalmente come ognuno di noi la vuole: una vera metropoli europea.

martedì 17 maggio 2011

E ora la città chiede
15 giorni di civiltà

Non sorprendiamoci troppo della sconfitta provvisoria (perché tale al momento lo è) del sindaco uscente Letizia Moratti. Vabbè, a Milano il centrodestra ha una tradizione consolidata; da vent'anni o giù di lì non si andava al ballottaggio; nessuno si aspettava il divario che è uscito dalle urne tra il candidato del centrosinistra Giuliano Pisapia e quello della coalizione che negli ultimi anni ha governato la città; la Lega Nord non è "decollata", lei che era data in un grande momento, ed era addirittura considerata capace di rosicchiare molti voti moderati al partito dell'alleato Silvio Berlusconi; lo stesso Berlusconi ha praticamente dimezzato, rispetto alle precedenti elezioni, le preferenze raccolte all'ombra della Madonnina...

Sì, impossibile non ammetterlo, c'è materiale per discutere per mesi. Ma perché sorprenderci? Così vanno le cose, in democrazia. Nessuno è eterno. Le cose, le persone, le opinioni cambiano. E cambiano dunque anche le preferenze. Ma non è certo il caso di farne un dramma, è solo la regola dell'alternanza che, se applicata con rispetto e senso del dovere, non può che fare bene.

Sottovalutata la voglia di cambiare della città

Del resto si vota per questo, per capire quali siano gli umori, le speranze, le richieste dei cittadini. Niente di male o di strano: in questa lunga campagna elettorale Pisapia ha saputo, con tutta evidenza, attrarre gli elettori con maggiore vigore rispetto alla sua rivale Letizia Moratti. O, forse, lo "squadrone" del centrodestra ha sottovalutato la voglia di cambiare presente in città. Ha pensato che fosse sufficiente mettere in campo qualche milione di euro e i pezzi da novanta nazionali per strappare un tranquillo e duraturo consenso. E invece non è stato così: la gente ha voglia di sentire parlare della città, dei suoi problemi e delle sue opportunità non, solo per fare un esempio, dei problemi giuridici del presidente del Consiglio.

E ora? Ora, in questi quindici giorni, la gente, sempre lei, vorrebbe assistere a un confronto civile, impostato sull'analisi dei differenti programmi e, perché no, anche sulla composizione delle "squadre". Immaginiamo che ci saranno le scuse della Moratti a Pisapia, ma temiamo per lei siano un po' tardive. E poi ci sarà la rincorsa, da una parte e dall'altra, dei voti del Terzo Polo e del Movimento 5 Stelle. E' troppo augurarci di non assitere alla solita tratta delle vacche?

Milano dia un esempio di civiltà politica

Perché questo è il punto. In queste ore si parla di un'"aria di cambiamento" che investe la città. Ma il vero cambiamento sarebbe proprio questo: quindici giorni di lotta politica serrata, quanto lo si voglia, ma corretta, onesta, rispettosa delle differenze. Bando dunque agli isterismi, ai proclami, alle inaugurazioni frettolose, alle ingiurie... Se Milano vorrà davvero, ancora una volta, dimostrarsi all'altezza del ruolo di città-traino che le è riconosciuto non solo dall'Italia ma anche dall'Europa, dia una lezione di quella civiltà politica che ultimamente nel nostro Paese sembra essersi persa per strada.

Perché in fondo tutti i candidati, dal capolista all'ultimo dei votati, sono lì per il bene della città, e solo per quello, giusto? E quale sia il bene della città lo sanno soprattutto i cittadini, che ogni giorno ne vivono sulla propria pelle le positività e le negatività. Mettiamoli dunque in condizione di scegliere per il meglio, questi cittadini. E, alla fine, rispettiamone la scelta, qualunque essa sia.

.

martedì 10 maggio 2011

La cultura violata

Oddio, forse a tutti non piacerà. L'arte moderna ha questa capacità: di attrarti, spesso anche per la sua prepotente "fisicità", ma anche di farti dire "ma questa sarà davvero un'opera d'arte?". La "Montagna di sale" esposta nella piazzetta antistante Palazzo Reale, di fianco al Duomo, si può dire abbia equamente distribuito in queste due direzioni le opinioni di chi se l'è trovata davanti agli occhi. Ma non c'è niente di strano, viene da dire, in fondo è proprio questo il ruolo dell'arte: fare discutere.

Non è certo, il suo ruolo, quello di fare da teatro all'imbecillità. Eppure proprio alla "Montagna di sale" è toccato questo compito, la sera che i tifosi del Milan si sono riversati in centro città per festeggiare lo scudetto appena conquistato. Come sempre più spesso accade, anche in questa circostanza si è creata quell'isola felice, che ruota da sempre attorno al mondo del calcio, in cui è concesso compiere azioni che in condizioni normali verrebbero considerate comportamenti riprovevoli, nei migliori dei casi, o reati, in quelli più estremi.

Comportamenti idioti? No, reati

Se un manipolo di bestie senza intelligenza decide di usare un'installazione artistica come pista da sci, se decide di spaccare le sculture che ne fanno parte, ecco, questo comportamento, oltre che idiota, credo debba annoverarsi nella categoria "reati". Colpito non è il valore economico dell'opera in sé, del resto difficilmente quantificabile, ma il fatto che questa rappresenti l'espressione dell'ingegno umano, in questo caso di un artista di valore internazionale quale è Mimmo Paladino, messa a disposizione di tutti. Prestata, semplicemente prestata, alla città di Milano, per impreziosirne la piazza che da sempre ne costituisce il cuore.

E che cosa ne fa, la città di Milano? La viola, la distrugge, la sbeffeggia. Lasciamo perdere il fatto che questi fossero tifosi di calcio, ancor più che fossero di un colore piuttosto che un altro. Questi, ben ritratti in decine di video pubblicati con orgoglio su Youtube, sono semplicemente ragazzi del nostro tempo, figli della nostra cultura. Una cultura che non ha portato nessuno, tra politici, amministratori, forze dell'ordine, ecc. a pensare di proteggere la "Montagna di sale" (ma anche il monumento a Vittorio Emanuele II, "scalato" come se niente fosse da orde indemoniate) dall'invasione dei nuovi barbari, in una serata in cui era facile ipotizzare il crearsi di eccessi comportamentali. Una cultura che non ha portato nessuno a dire: bene, adesso identifichiamo gli autori dei danneggiamenti e li denunciamo per quello che hanno combinato.

Non tutto ha un prezzo

Una cultura che ha portato la società calcistica per cui erano in corso i festeggiamenti a tagliare corto con un laconico e rassicurante: "Rifonderemo i danni dei nostri tifosi". Un bel gesto, certo, ma figlio anch'esso della cultura imperante per cui tutto può essere ricondotto a una mera questione economica. Si può comprare tutto, con i soldi, ma proprio tutto. Basta pagare, o anche solo dimostrare di avere i soldi per poterlo fare, per far sì che ogni comportamento, anche il più abietto, divenga improvvisamente lecito o comunque accettabile dai più.

In questo caso alla faccia dell'arte e, soprattutto, della cultura. Di quella vera.


.

lunedì 9 maggio 2011

Palazzo di Giustizia, davanti e dietro


Oggi il Palazzo di Giustizia di Milano ha voluto rendere onore a tre uomini che hanno dato la vita per il loro lavoro. Si tratta, nell'ordine, di Giorgio Ambrosoli, avvocato liquidatore, ucciso sotto casa nel 1979 da un killer della mafia assoldato dal banchiere Michele Sindona; di Emilio Alessandrini, pm ucciso dai terroristi di Prima Linea nel 1979, poco dopo avere portato il proprio figlio a scuola; di Guido Galli, Giudice Istruttore e professore di Criminologia, anche lui ucciso da Prima Linea nel 1980, mentre si recava in Statale per tenere una  lezione.

Tutti uomini di legge, tutti assassinati da mano criminale, tutti a Milano, a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro.


Un omaggio ai servitori dello Sato uccisi

Un omaggio reso dal Tribunale di Milano, fortemente voluto dal suo presidente Livia Pomodoro, nel giorno della "Memoria dei servitori dello Stato uccisi", che quest'anno il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto dedicare proprio e in particolar modo ai magistrati.

Un messaggio che a Milano assume ancor più forza, in questi giorni. Perché è nella nostra città che sono stati stampati e appiccicati ai muri i tristemente famosi cartelloni con le scritte "Fuori le BR dalle Procure". Forse le BR, e i gruppi a loro affini, non entravano nelle procure nemmeno in quegli anni terribili, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, come ha provocatoriamente risposto Edmondo Bruti Liberati, procuratore capo di Milano. Ma è certo che stavano fuori dei loro cancelli, oppure sotto le case, davanti ai luoghi di lavoro e di svago delle loro vittime, pronte a colpire, senza pietà.

Proprio come hanno fatto anche con il giuslavorista Marco Biagi – cui è intitolato lo slargo antistante il Palazzo di Giustizia milanese – qualche anno dopo, nel 2002, a Bologna.
 

Poliziotti in tenuta anti sommossa 

Per portare un piccolo tributo a questi grandi uomini, eroi del nostro recente passato, questa mattina siamo andati a Palazzo di Giustizia a vedere con i nostri occhi le maxi-foto esposte sulla facciata. Una veloce occhiata e qualche foto, qua e là, prima di tornarcene al lavoro. Ma proprio mentre ci accingevamo ad andarcene, ecco che ci siamo imbattuti in un gruppo di poliziotti in tenuta anti-sommossa, diretto verso il lato destro del Palazzo. Ah, già, oggi è lunedì, giornata di udienza di Berlusconi. Oggi si presenta per il cosiddetto Processo Mills. Più incuriositi che interessati, andiamo a dare un'occhiata e arriviamo nei pressi dell'uscita laterale, lì dove c'è lo spazio ormai riservato settimanalmente ai comizi post-udienza del leader del Pdl.

I "pro"...
Separati dalle transenne, di fronte all'uscita, ci sono i sostenitori "pro" e "contro" Berlusconi. Tutto molto tranquillo, all'apparenza, tra loro c'è un corridoio ampio, che impedisce che le due "fazioni" vengano a contatto. Ma anche se lo facessero, la mia prima impressione è che non succederebbe comunque un putiferio. Di qua e di là ci saranno al massimo 20/30 persone, per lo più donne e anziani, sembrano tutti tranquilli, a parte qualche coro che si alza da una parte e dall'altra, ogni tanto. Del resto lo spiegamento di forze è tanto e tale (pure dai tetti delle case di fianco al Palazzo uomini scelti controllano la zona con binocoli), che la situazione, così come si presenta, difficilmente potrebbe creare problemi di sicurezza.


La "pericolosa" protesta dei "Contro Berlusconi"

Ma a un certo punto qualcosa, dalla parte dei "contro" si muove. Un funzionario di polizia (immagino lo sia, non è che mi intenda tanto di queste cose) invita i "contestatori" a spostarsi da lì, perché troppo vicini agli altri.  

...e i "contro"
"Invita", significa che attorno ai quattro gatti che contestano si crea un cordone di poliziotti in tenuta antisommossa che spingono "gentilmente" le persone ai margini della piazza, molto più indietro, sul marciapiede.

La reazione dei "contro" è immediata: perché dobbiamo spostarci noi e gli altri possono stare lì? In effetti gli altri quattro gatti, quelli pro Berlusconi, rimangono tranquillamente al loro posto, vicino alle loro transenne.

Qualche momento di agitazione, ma solo verbale

Insomma, qualche momento di agitazione, ma solo verbale, la si è vissuta. Il riassunto e il commento della situazione li lascio a due esponenti dei "contro", da me ripresi nel video qui sotto. Mi viene da definirli i più "facinorosi" di tutti, sperando di non offenderli, proprio per dare il metro di quella che avrebbe potuto essere la pericolosità dell'intero gruppo dei contestatori.



martedì 3 maggio 2011

L'alberello di via Altaguardia,
un simbolo dei nostri giorni

Un albero. Un semplice, piccolo, albero che però è anche un simbolo. Non è una novità: spesso gli alberi assumono il ruolo di simbolo. Pensiamo ad esempio al "Giardino dei Giusti" di Gerusalemme, dove gli alberi sono piantati in onore di chi si è distinto per avere combattuto le azioni criminali razziali perpetrate dai nazisti nei confronti del popolo ebraico.

Quello qui ritratto (la foto risale a pochi giorni fa, nel momento di sua massima fioritura) ha una storia molto più semplice, ma nel suo piccolo può essere considerato ugualmente un simbolo.

Abbattuto dopo essere stato colpito da un fulmine

Non più di tre, quattro anni fa al suo posto viveva un altro albero, che era lì, dicono i residenti della zona, da più di mezzo secolo. Il progetto di innalzamento del palazzo che è posto alle sue spalle, che è di costruzione molto più recente, aveva proprio tenuto conto della sua esistenza ed era stato adattato in modo tale da non disturbarne la serenità. Purtroppo la vecchiaia e, pare, un fulmine, ne avevano minato alle basi la stabilità e una bella mattina, per la sua accertata pericolosità, era stato abbattuto con grande dispiacere di tutti coloro che erano abituati a vederlo lì, nel suo piccolo spazio tra asfalto e cemento, praticamente da sempre.

La delusione crebbe ancor più quando ci si rese conto che il Comune non mostrava interesse a sostituire la pianta estirpata con un'altra. In un batter di ciglia i residenti della via si unirono in una lotta comune e tappezzarono la zona con piccoli manifesti su cui era riportato l'appello "Ridateci il nostro albero". Una battaglia civile – sia nella sostanza, sia nella forma –, che si concluse solo nel giorno in cui gli operai del Comune piantarono in quello stesso spazio un'esile pianticella che si è trasformata in quello splendido alberello che oggi arricchisce, con la sua presenza, l'intera via.

La città è come la vogliono i cittadini

Ecco perché quest'albero è un simbolo. Testimonia il fatto che la città, in fondo, è come la vogliono i cittadini. Molto spesso gli amministratori non si rendono conto di quali siano le vere esigenze delle persone comuni che vivono nella loro città. Vivono il più delle volte in zone privilegiate, non devono affrontare le difficoltà quotidiane dei semplici cittadini. E spesso sono presuntuosi, non ammettono che altri suggeriscano loro come devono agire. Ma a volte si trova qualcuno, magari anche un semplice funzionario, in grado di comprendere quanto sia importante tenere conto di aspetti che a prima vista potrebbero apparire come insignificanti e inutilmente dispendiosi. Ma che invece non lo sono, tutt'altro.

Per l'albero di via Altaguardia deve essere proprio andata così. Per questo, coccolato e protetto com'è dai suoi sensibili vicini di casa, siamo sicuri che riuscirà a vivere una lunga, lunghissima vita. Anche perché i simboli, lo si sa, non muoiono mai.

.

Votami

migliori